La fabbrica delle parole (libertà)
Di PAOLA NAVOTTI
Non sembra un caso che le parole libertà e liberalità abbiano la stessa radice. L’esperienza di essere liberi – cioè di poter pensare, esprimersi ed agire senza costrizioni – dà piacere quanto l’esperienza di essere generosi verso il prossimo. Essere liberi e essere liberali avvicina le persone tra loro, le fa sentire bene: unite da un legame così forte da assomigliare a quello che contraddistingue gli affetti familiari. La lingua latina sintetizza i sommi beni di cui stiamo parlando nella parola liberi: figli. Questi ultimi sono “nostri”, ma in fondo non lo sono…: sono altro da noi, oltre noi. Sono appunto liberi, nel significato italiano della parola.
Tale evocazione etimologica in merito alla parola libertà rimanda alla mente quanto Ennio Flaiano – grande sceneggiatore, scrittore, giornalista, umorista, critico cinematografico e drammaturgo italiano – scrisse sulla rivista Il Mondo il 6 novembre 1956. “Lettera aperta sulla libertà”: così Flaiano titolò tale scritto, ad indicare quanto la riflessione riguardasse tutte e tutti. Riguarda anche noi oggi, così come riguarderà i nostri figli domani. Scriveva Ennio Flaiano: «Noi siamo un popolo in pace con la Libertà, siamo un paese libero, con una stampa libera e un parlamento liberamente eletto. Sì, è vero. Ma la libertà per noi, ottenuto il suo primo successo di curiosità, è oggi divenuta una realtà talmente quotidiana che quasi infastidisce. Pretendiamo anche che ci dia tutto col nostro minimo sacrificio; la consideriamo come qualcosa di estraneo, un Ente di cui qualcun altro farà le spese. Non siamo ancora riusciti ad accettare il fatto più importante: la Libertà siamo noi (…) Né ci resta il conforto d’aspettare le rivoluzioni. Le rivoluzioni che l’Italia oggi può permettersi sono di ripiego, timide, rivoluzioni approvate dallo stato, fatte con l’aiuto dello stato e dirette contro la Libertà, che io amo senza illudermi di poterla sposare (…) Questo dunque il mio impegno, che mi spinge a fare della Libertà un culto privato, personale, nient’affatto arido (perché mi sorregge la speranza di essere imitato dalla maggioranza degli italiani), ma purtroppo cretino, perché la maggioranza degli italiani ha altro a cui pensare (…)».
Ai suoi tempi, come oggi, Ennio Flaiano risulta provocatorio, ma coglie nel segno: pur invocando sempre la libertà, di che esperienza parliamo? Come la difendiamo? Come dimostriamo di amarla? Ci basta chinare il capo davanti alle tante sculture delle nostre città che immortalano i martiri della libertà? Quando sentiamo il bisogno di definirla? Oggi si tende a rifiutare a priori, in ogni ambito, qualsiasi azione o parola definitoria. Ma definire, cioè delimitare il senso di qualcosa, è un’esigenza esistenzialmente persistente. A maggior ragione parlando di libertà.