Disagio adolescenziale… e i livelli di responsabilità
Di Paolo Giovanni Zani
(Pedagogista, scrittore e formatore) [1]
Questo articolo vuole offrire una seria occasione per riflettere sul disagio adolescenziale senza scorciatoie o alla ricerca di capri espiatori. Questi ultimi permettono agli adulti di non offrire il fianco al dolore che si prova nel momento in cui si vive una ferita per aver contribuito alla manifestazione aggressiva di una sofferenza profonda. Un contributo che vuol essere un richiamo a ritrovare quella funzione pedagogica adulta, necessariamente presente trasversalmente nella società, che diviene fattore protettivo nel processo di crescita di un bambino, poi adolescente ed infine adulto del domani.
Quando ci troviamo di fronte a fatti di cronaca che mostrano disagi adolescenziali significativi, diveniamo tutti giudici e semplifichiamo il tutto “sparando” sentenze. Chiaramente finché i fatti toccano le altre persone e non la nostra sfera priva. Se invece siamo coinvolti in prima persona, avremmo bisogno di persone meno giudicanti e più accoglienti e soprattutto che comprendessero, senza giustificare, la complessità del disagio. Poi quando giriamo le città, leggiamo i giornali, ascoltiamo i radiogiornali, sentiamo situazioni che ci toccano nel profondo e innescano in noi un sentimento di “vendetta”:
- ragazze preadolescenti che per un ragazzo si aggrediscono selvaggiamente
- baby gang che fanno paura agli adulti nel bel mezzo delle grandi città
- adolescenti che sono in grado di aggredire ed uccidere un pari età per futili motivi
- giovani studenti che insultano e aggrediscono gli insegnanti
- il “branco” che, qualche anno (ormai rimosso), fa buttava sassi dai cavalcavia…
La sentenza degli adulti è sempre chiara, lineare e semplice! Dall’alto della nostra adulta “posizione di verità”, chiaramente non coinvolti, sentiamo che “è tutta colpa dei genitori” e se noi fossimo al loro posto, avremmo cresciuto quei figli in maniera diversa e più dura, più severa… insomma più “giusta”. Quindi troviamo scorciatoie e iniziamo a valutare “ricette” che rimettano al loro posto tutti. Diviene allora fondamentale:
- reintrodurre il servizio militare
- inasprire le pene anche in età minori
- attivare percorsi preventivi per genitori (“veri colpevoli o semplici capri espiatori”),
- sviluppare percorsi preventivi nelle scuole.
Tutto questo soprattutto se l’“onda emotiva” del momento è alta e se la cronaca ci ha colpito nel profondo. Sempre risposte “superficiali” a disagi complessi! Analizziamo un po’ di più.
Un bambino, fin dal primo di vita, non rimane, diversamente da qualche decennio fa, all’interno della famiglia ma – si spera almeno dai 9 mesi, molto spesso anche prima (per impossibilità lavorative) – viene affidato a delle strutture educative. Il bambino, quindi, entra nel mondo delle agenzie educative che affiancano il ruolo del genitore per parecchi anni. Per quanti anni? Sicuramente fino a 16 anni, fine obbligo scolastico, o meglio a 18, con la conclusione dell’obbligo formativo (sfido chiunque a trovare un’azienda che assuma prima dei 18 anni), spesso fino alla maturità ed anche, speriamo tutti, alla laurea. Quindi ad occuparsi dell’educazione di quel bambino, futuro adulto, sono diverse agenzie educative: diversi adulti cioè lo accompagnano e lo educano. In questo lungo arco temporale non possiamo valutare una “educazione subdola”: non tanto quella “informale” legata a contesti non formalizzati (es. un luogo d’incontro come una volta era il nostro cortile, la panchina…), bensì “quella virtuale”.
Si raccomanda agli adulti che un minore non venga esposto precocemente ai dispositivi elettronici, che non abbia un proprio cellulare prima dei 14 anni e che non possa avere accesso ai social fino ai 16 anni… Ma sappiamo che non è così! “Colpa” dei genitori? Spesso questi ultimi sono all’interno di gruppi di genitori, che a volte fanno una specie di “gara” a chi accontenta di più il figlio per essere “eletto il genitore dell’anno”.
I dispositivi virtuali quindi entrano nelle case ed educano, ma come? Non lo sappiamo… o meglio lo sappiamo ma non vogliamo vedere: dipende dai messaggi martellanti (parole, immagini, suoni, musiche, testi, azioni…) a cui il minore si sottopone (costantemente e per più ore al giorno).
Quando ci troviamo di fronte a forme severe di disagio adolescenziale non possiamo considerare il genitore come l’unico “capro espiatorio”, semplificando la situazione e mettendoci il “cuore in pace”.
Ci sono dei “4 livelli responsabilità” di fronte ad un disagio adolescenziale che chiamano in causa tutto “il sistema educante” e soprattutto tutti gli adulti di quella comunità socio-culturale:
- “Livello genitore”: i genitori faticano ad assumersi la responsabilità educativa e spesso demandano ad altri, sono permissivi, in alcuni casi negligenti, basano molto sull’apparire e poco sull’esempio.
- “Livello adolescente”: quando siamo in presenza di una azione antisociale, la responsabilità dell’adolescente quasi “si perde e sparisce”, in realtà è fondamentale che il giovane ripari e si assuma la responsabilità delle conseguenze.
- “Livello adulti”: gli adolescenti hanno incontrato più figure adulte in diverse agenzie educative (scuola, sport, comunità, oratori…) che hanno contribuito al processo di crescita, maturazione e sviluppo soprattutto tramite il loro esempio (es. genitori, cantanti, atleti, politici, sacerdoti, insegnanti…).
- “Livello virtuale”: siamo tutti a conoscenza del monte ore virtuale a cui i figli sono esposti fin da molto piccoli, che contribuiscono in maniera consistente ad educare, ma il mondo virtuale è governato da adulti che negano le loro responsabilità sociali.
Quando un adolescente o una adolescente mostra un disagio con azioni che fanno rabbrividire per la loro disumanità, come adulti non possiamo chiamarci fuori! Se la fonte del problema fosse la mancanza di figure adulte, educanti, significative, strutturate, solide, coerenti, umane e credibili nei vari livelli di questa responsabilità???
Quello che fa ancora più riflettere, facendo un’ulteriore sintesi, è che questi livelli sono due: il livello dell’adulto e quello dell’adolescente. Se fosse la società nelle diverse singolarità e nell’esempio quotidiano a dover eseguire una svolta importante e decisa nel proprio modo di essere adulti?
Questa è la sfida seria che dobbiamo affrontare se vogliamo permettere ai nostri meravigliosi adolescenti di esprimere i loro talenti (non solo quelli dei talent-show) contribuendo una umanizzazione di questa società che forse, senza troppi forse, noi adulti abbiamo perso.
E andare un passo più avanti, essere sempre vero
Spiegare cos’è il colore a chi vede bianco e nero
E andare un passo più avanti, essere sempre vero
E prometti domani a tutti parlerai di me
E anche se ho solo vent’anni dovrò correre per me
E sarai pronto per lottare, oppure andrai via
E darai la colpa agli altri o la colpa sarà tua
Correrai diretto al sole oppure verso il buio
Sarai pronto per lottare, per cercare sempre la libertà.
(“Vent’anni” – Måneskin)
[1] Il dott. Paolo Giovanni Zani lavora in campo socio-pedagogico dal 1996. Dal 2001 svolge corsi di formazione ed informazione a genitori ed insegnanti, oltre a percorsi per gli alunni nelle scuole di ogni ordine e grado. Dal 2008 è dipendente, come pedagogista, di un consultorio familiare dell’ovest bresciano e si occupa di genitorialità. Svolge dal 2010, anche, attività privata di libera professione, presso lo studio di Brescia e di Rodengo Saiano, occupandosi, come Pedagogista Clinico e Sessuologo Clinico, di percorsi individuale o di coppia per minori e adulti. È stato dal 2011 al 2015 Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Brescia, in campo civile e delle adozioni nazionali ed internazionali. È autore di articoli su riviste specialistiche e del libro “Il mondo negli occhi”.