Alice si è persa
Di Nathan Damioli
Pedagogista, Consulente Pedagogico, Formatore, Educatore Socio-Pedagogico
C’era una volta il dono della meraviglia.
Qualcuno l’ha visto?
Eppure, ricordo esattamente il momento in cui l’ho dimenticato: era un tempo in cui ogni porta conduceva altrove, dove ogni domanda diventava chiave di nuove risonanze, in cui la spontaneità dell’animo nutriva ogni percezione.
L’incanto di aprire una nuova finestra sul mondo, lo stupore nella conoscenza e l’attesa come maestra del valore del tempo sembrano essere credenze polverose e demodé.
Nel paese delle meraviglie anche Alice sembra essersi persa nell’abitudine indifferente, nella routine ridondante e in ciò che spesso viene dato per scontato.
Il sentimento della meraviglia è strettamente connesso alla nostra capacità di cogliere il sublime, ossia l’esperienza di ciò che supera la nostra comprensione immediata.[1]
Il progresso minaccia l’integrità della nostra meraviglia, che rischia di ridursi a un semplice calcolo razionale, dove ciò che un tempo suscitava stupore, oggi viene semplicemente codificato, classificato e nella maggior parte dei casi raramente celebrato.
Viviamo un tempo che è già stato interpretato dagli occhi e dalle parole di qualcun altro, in cui non ci accorgiamo più dell’essenza delle piccole cose, dando sempre più spazio a un’esistenza automatizzata, sovra stimolata, ma paradossalmente sempre più insaziabile.[2]
I bambini sembrano gli unici ancora immersi in un’esperienza diretta e sensoriale della realtà, a differenza di noi adulti che filtrando tutto attraverso concetti e convenzioni, ci allontaniamo da questa necessità così originaria e generativa del pensiero.
La contemporaneità sembra aver anestetizzato la nostra capacità di meravigliarci: l’iperstimolazione e l’accelerazione della vita ci impediscono di sostare sulle cose, di contemplarle, di lasciarci toccare dalla loro bellezza.[3]
Anche la tecnologia, proponendo un’alternativa virtuale alla realtà tradisce il nostro bisogno di autenticità, riducendo il nostro sguardo a esempi di meraviglia ideali, falsi, costruiti, difficilmente realizzabili.
La sovrabbondanza di stimoli, invece di arricchirci, ci ha sorprendentemente resi incapaci di stupirci.
Abbiamo persino smesso di interrogarci, accettando con passività ciò che ci accade, senza cadere in troppi vortici di perché.
La meraviglia è soprattutto un elemento cruciale dell’apprendimento: i bambini imparano attraverso lo stupore; tuttavia, la tradizionalità di alcuni approcci educativi soffoca questa predisposizione, portando gli adulti di domani a perdere il senso di magia che riflette la rappresentazione del mondo.
Il bambino ha una relazione più intensa con esso perché lo vive attraverso il sogno e la fantasia.
La diseducazione alla meraviglia è la perdita della capacità di immaginare e di lasciarsi trasportare dal nostro pensiero creativo.
Abbiamo tutti bisogno di curarci della nostra meraviglia, affinché il senso della sorpresa non si spenga con la crescita, sia un rifugio possibile anche nell’età adulta, sia un invito a curarci del bambino che abita ciascuno di noi, riconfermandola come eterna compagna nel nostro percorso di crescita. [4]
Non intendo generalizzare, ma ho l’impressione che la vita sia spesso vissuta in modo superficiale, senza alcuno stupore per l’esistenza stessa.
Espressioni come l’arte, la natura, il gioco, la speranza, la curiosità, il dubbio, sono vie per recuperare un senso di meraviglia davanti al mistero dell’essere.[5]
Per questo i bambini sono più vicini alla verità, mentre noi adulti sembriamo aver perso questa dote così naturale, così preziosa e così essenziale.
Ripartiamo dalle piccole cose, cerchiamo di non dare per scontato ciò che di più bello riempie le nostre giornate: viviamole, immortaliamole, scriviamole, raccontiamole, cantiamole, celebriamole.
La meraviglia restituisce il senso della vita che viviamo in tensione, ci aiuta a non arrenderci a ciò che già conosciamo, a rivivere con entusiasmo la magia dell’attesa, a nutrire ancora il senso del possibile.
Dobbiamo concederci il lusso del tempo sospeso, della domanda che resta aperta, della piccola cosa che si fa grande…ci vuole fatica, ci vuole coraggio, ci vuole memoria.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
[1] Kant I., Critica della ragion pura, Editori Laterza, 2019, Roma, pp. 2-3;
[2] Benjamin W., Esperienza e povertà, Castelvecchi, 2018, Roma, p.57;
[3] Simone M. G., Cultura del consumo, bellezza ed educazione dello sguardo. Per una pedagogia essenziale, Education Sciences & Society, 1/2020, p.574.
[4] Lizzola I., Aver cura della vita, dialoghi a scuola sul vivere e sul morire, Castelvecchi, 2021, Roma, p.163;
[5] Bauman Z., Heller A., La bellezza (non) ci salverà, Il margine, 2015, Trento.