La seconda anima: la pedagogia applicata alle lingue

Di Valentina Viola
(Pedagogista esperta in early childhood education e learning approaches)

Un melting pot culturale e linguistico oggi pervade quasi la totalità della nostra vita con una capillarità tale che di mono-linguistico e culturale resta ben poco. La fusione tra identità linguistiche (e culturali) può costituire idealmente una texture pedagogica ben riuscita se si guarda singolarmente all’individuo e alla sua realizzazione integrale ma anche se si allarga lo sguardo a una società cosmopolita.

Seppure siano numerosissimi i trend linguistici estemporanei ed effimeri così  come forte sia l’accento performativo e competitivo che molto spesso deriva da recondite velleità genitoriali, nella spinta ad appropriarsi di una nuova lingua c’è insito un desiderio di migliorarsi, di dotarsi di know how molteplici e di spaziare oltre al proprio scenario nostrano – che pure può permanere come punto di riferimento. La giusta attitude è ‘non esisto solo io e il mio modo di parlare e di vedere le cose, cosa c’è di buono nel resto del mondo che posso apprendere e fare mio?’
Ogni lingua è infatti portatrice di un sistema di valori, idee e credenze unici.
Addirittura c’è chi sostiene che la lingua influisca sulla personalità e sull’“architettura del pensiero”[1].

Gli studi scientifici mostrano come imparare una o più lingue favorisca la plasticità cerebrale, mantenendo attive e allenate delle specifiche aree del cervello e ciò influisce positivamente su altre competenze trasversali, tra le altre la memoria di lavoro, l’attenzione sostenuta, la creatività e la flessibilità mentale…
Queste abilità sono preziosissime nel processo di apprendimento in generale, lo sono anche per i DSA e disturbi aspecifici nel contesto scuola ma lo sono ancor di più per tutti e tutte nel life approach.
In aggiunta, imparare una lingua oltre alla lingua-madre comporta una serie di risvolti pedagogici non da poco. Primo tra tutti il decentramento culturale.  Ma anche una mentalità dinamica e divergente, un pensiero critico e una percezione dell’intelligenza alla Goleman, non fissa ma evolutiva, ma da incrementare e allenare.
La psicologia evolutiva ci insegna che iniziamo a de-centrarci una volta fatta conoscenza di noi come esseri autonomi e definiti. La famosa ‘prova dello specchi’ dei bimbi a 18 mesi. Quando il bimbo si guarda nello specchio e tocca sè stesso invece che il riflesso ha imparato a riconoscersi come “io” definito, con confini netti e precisi rispetto a quel “qualcos’altro da me”. Da quel momento guardiamo agli altri davvero e propriamente in quanto “altri” e il percorso di reciproca conoscenza, interazione e scambio continua seguendo dei percorsi e delle vie più o meno semplici, più o meno di successo e appaganti lungo tutta la vita. Ora pensiamo a come imparare una nuova lingua, come ci siamo detti, con tutto il bagaglio di competenze e capacità neurologiche e comportamentali sviluppate, possa funzionare da potentissimo boost’.

Se volessimo ragionare in termini di possibilità, al netto di quelle più ovvie, quelle comunicative, con una o più lingue apprese consentiamo di progredire al nostro punto di vista e aprirci a diverse tematiche, anche quelle più calde: il gender gap, la sostenibilità ambientale, l’estensione della cittadinanza proprio grazie alle esperienze ‘extra’- patria. Senza per forza rinnegare o resettare la nostra identità patriottica ma sempre più impostati sull’ascolto e sulla sperimentazione dell’altro, della sua lingua e delle sue idee in proposito.
Pensiamo al congedo parentale e a come funziona nel resto d’Europa, per esempio, a quanto i padri siano coinvolti nell’early childhood education. Possiamo impararne qualcosa?
Torniamo all’intelligenza fluida ma questa volta prendiamo in esame Gardner e le sue intelligenze multiple. Una di queste è proprio l’intelligenza interpersonale. Un’altra è l’intelligenza intra-personale e linguistica-verbale. Un’altra ancora è l’intelligenza filosofico-esistenziale. Tutte forme di espressione del potenziale umano coinvolte nell’apprendimento di una nuova lingua così come lo abbiamo inteso sino a qui.
In conclusione, perché non migliorarci nella mente, nel comportamento e più in profondità ancora?
Conoscere una seconda lingua è davvero come possedere una seconda anima[2].

 

NOTE BIBLIOGRAFICHE
[1] Cfr E. Meli, “La lingua che parliamo influenza la personalità e influenza il cervello”, Corriere della Sera Salute, 24 marzo 2016, Milano.
[2] La citazione «Conoscere un’altra lingua è come possedere una seconda anima» è tradizionalmente attribuita a Carlo Magno, ma non esiste una fonte diretta coeva o un’opera scritta da Carlo Magno stesso che la riporti in questi termini.