Pedagogia dell’orientamento scolastico

 Di Nathan Damioli
Pedagogista, consulente pedagogico, educatore socio-pedagogico

 

Nella riflessione pedagogica più attenta alla dimensione esistenziale e trasformativa dell’educazione orientativa, si fa sempre più evidente la concezione della presenza di un tempo di esodo[1].
L’esperienza della complessità riflette una profonda crisi identitaria e sociale, dissolvendo ogni senso di appartenenza alle grandi narrazioni condivise e restituendo l’immagine di generazioni incapaci di concepire l’idea di un futuro che sappia conciliare l’individuo e la collettività.
Le ferite di un’età senza casa[2], presuppongono tuttavia la consapevolezza che l’esodo rappresenti un tempo di cammino, di movimento, di proiezione, in cui la ricerca di senso si rivela possibile nella generatività dell’incontro, nella ricerca delle risposte attraverso l’interrogazione delle giuste domande e alla resilienza dell’abitare la soglia nella sua precarietà e nella sua contraddizione.
Secondo Magatti, non è più possibile concepire il paradigma dell’orientamento come una scelta strumentale o come una capacità di adattamento alle esigenze del mercato del lavoro, occorre dunque ricondurlo a un processo di espressione di libertà generativa, la cui radice non si riferisce necessariamente al mito della produzione, ma a un’azione creativa concreta capace di intrecciare progetti, talenti e biografie verso nuovi orizzonti di esistenza[3].
Secondo questa prospettiva, il talento non si realizza nella sua autoreferenzialità, ma si manifesta come un dono all’interno di un atto relazionale capace di promesse, di presenza e di speranza.
Esso non s’intende come una componente del tutto innata o come il risultato di un apprendimento passivo, bensì come l’espressione di una potenzialità all’interno di un tessuto di relazioni significative, in cui l’esercizio dell’orientamento si concretizza nella predisposizione di uno spazio di accoglienza e di cura delle reciprocità.
Tali spazi non si configurano solo ed esclusivamente come luoghi fisici d’incontro, ma come orizzonti di senso e di appartenenza in cui l’esperienza di sé assume profonde risonanze in relazione al territorio e al contesto socioculturale in cui prendono forma.
In altre parole, lo spazio si concepisce secondo una dimensione simbolica, in cui il corpo abita la propria storia, intrecciando legami e radici.
L’orientamento non presuppone un processo lineare, tantomeno si struttura nella definizione di una competenza, lo stesso Lizzola ricorda quanto questa sospensione sia un viaggio all’interno della propria vulnerabilità, in cui la scoperta identitaria si cela nell’ascolto, nel racconto, nella tensione emotiva, nel sentire comune e nella scoperta di nuovi significati[4].
Oggi, ripensare l’orientamento significa educare al paradigma dell’incertezza, vivendo secondo una prospettiva pluralista interdipendente ma soprattutto interconnessa, in cui la generatività dei talenti rappresenta un’azione pedagogica di libertà e responsabilità in risposta a un’emergenza relazionale sempre più urgente.
Non esiste infatti alcuna possibilità di orientamento se non all’interno di una pedagogia della cura che accolga il soggetto nella sua totalità all’interno di un percorso che sappia contemplare la discontinuità, conciliando la narrazione del proprio vissuto nell’esperienza quotidiana.
In tal senso, la formazione non viene concepita come un atto tecnico finalizzato a produrre una decisione razionale, quanto più come un atto poetico, dove il tempo, lo spazio e il corpo divengono criteri epistemologici profondamente essenziali[5] e dove il talento non rappresenta ciò che si ha, ma la proiezione di ciò che si diventa insieme.
Ricordando le parole di Simone Weil, si potrebbe dunque associare l’orientamento all’esperienza di una vocazione da coltivare attraverso il silenzio e l’attenzione, dove l’auto-narrazione e l’incontro siano un atto di giustizia interiore prima di essere una funzione sociale[6].
L’approccio all’orientamento secondo i principi di una pedagogia generativa presuppone quindi un’azione tesa a restituire piena dignità alla persona, riconoscendo la sua centralità in qualità di essere umano pensante.
Partendo dalla riflessione di Demetrio, l’uomo è “un’animale narrante” e attraverso il racconto definisce rappresentazioni di sé stesso e della realtà[7].
Il contesto di riferimento è un sistema in continuo cambiamento in cui le grandi narrazioni trovano sempre più ostacoli nella trasmissione delle narrazioni collettive e dove i modelli di riferimento del passato risultano inconciliabili con quelli odierni.
La necessità dei giovani di costruire significati e modelli identitari appare dunque una soluzione inevitabile in risposta alla discontinuità intergenerazionale.
L’esercizio dell’auto-narrazione, si riconduce a un processo di ipotesi, per cui, le nuove generazioni possano formulare nuovi scenari possibili di sé integrando immaginazione, self-empowerment e riflessività critica.
In tal senso, oltre a regolare l’azione dei processi cognitivi, raccontarsi migliora la capacità di prendere decisioni, garantisce maggiore controllo ed efficacia personale, consolida il concetto di identità, consentendo al soggetto di progettare il proprio futuro attribuendo un senso e una coerenza al proprio percorso di vita[8].
Le narrazioni stabiliscono un principio di organizzazione della realtà, si caratterizzano per essere interpretabili, congiungono il passato con il presente e trasformazioni pensieri in azione verso il futuro.
L’identità si concretizza nel movimento narrativo, tra le storie raccontate e quelle vissute, contrastando un’amnesia identitaria[9] sempre più pervasiva all’interno della quotidianità e permettendo al soggetto di accogliere le eventuali discontinuità come parti integranti e funzionali del proprio percorso.
La generatività narrativa si cela nell’attitudine di pensare per storie, per cui il racconto diventa uno stimolo per esercitare il pensiero, per affacciarsi all’esperienza di sé stessi, per dare vita alla parola, che a sua volta, restituisce, chiarisce, rinfranca, guida e rigenera.
Richiamando il pensiero epistemologico di Morin, l’esperienza dell’orientamento si traduce metaforicamente secondo l’urgenza di “navigare in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezze”[10].
Essa, quindi, non presuppone una meta di attracco o una destinazione puntuale, ma un processo discontinuo di generazione di senso.
Lo sfondo di questo percorso itinerante è l’immagine di una comunità sempre più chiamata a essere pensante, in cui l’esercizio del talento non si esaurisce nell’individualità ma acquisisce forma e sostanza nell’esperienza della collettività.
Secondo questa prospettiva, è indispensabile che la comunità sappia farsi contesto di possibilità affinché l’azione orientativa sia funzionale al riconoscimento e all’interpretazione dei talenti, trasformando questi ultimi in capitale relazionale[11].
Tali aspirazioni si scontrano con le sfide dell’apprendimento scolastico, per cui l’applicazione di dispositivi formativi narrativi favoriscano lo sviluppo di un pensiero critico collettivo, superino la logica del consumo dei saperi e soprattutto costruiscano spazi relazionali sociali e culturali.
La scuola rappresenta il luogo per eccellenza in cui sperimentare questo esercizio espressivo, in cui ciascun insegnamento rivela enormi potenzialità in termini percettivi e rielaborativi per garantire un apprendimento che valorizzi l’esperienza personale e collettiva di ciascuno studente.
All’interno dei suoi studi, Raimondo traccia una rete di significato fra le discipline scolastiche, dimostrando come ciascuna di esse, possa essere insegnata secondo modalità narrative: a cominciare dagli insegnamenti artistici, storici e letterari come mezzi di espressione e conoscenza di sé, fino ai saperi scientifici, matematici e tecnologici in cui l’immaginazione, le idee, l’osservazione e la verifica delle ipotesi possano dare luce a nuove evidenze o prospettive di ricerca[12].
Secondo questi presupposti, incrementando modalità formative che permettano una contestualizzazione della realtà e una ritessitura dei saperi, il soggetto arriva ad attribuire un senso alle potenzialità di ciascun insegnamento, interrogandosi sul rispettivo fondamento affermando un protagonismo sempre più teso ad imparare attraverso l’esperienza di sé e del mondo.
In questo caso la creatività agisce non solo come spazio di co-nascita del sapere, ma diventa una competenza chiave negli obiettivi dell’apprendimento.
Accanto a questa rappresentazione, la riflessione di Mannese amplifica la cornice epistemologica, evidenziando quanto l’orientamento non si limiti ad un’azione interpretativa, ma ad una pedagogia capace di generare nuove visioni e pratiche, che sappiano convivere nella complessità globale senza trascurare le radici della territorialità[13].
In tal senso, orientare significa educare alla responsabilità formativa, in cui la fioritura della generatività prende vita nell’esperienza maieutica di mettere al mondo il mondo, partendo dalle coordinate di quello che ci abita ed elevando la creatività come principio trasformativo e orientativo della realtà.

 

 

[1] Lizzola I., In un tempo di esodo, In tempo d’esodo. Una pedagogia in cammino verso nuovi incontri intergenerazionali, Collana percorsi dell’educare, Città Nuova, 2023.
[2] Lizzola I., Mettere in comune la vita per sostenere le fragilità: https://www.benecomune.net/rivista/numeri/i-care/intervista-a-ivo-lizzola/, 2017.
[3] Magatti M., Giaccardi C., Generativi di tutto il mondo, unitevi! Manifesto per la società dei liberi, Feltrinelli Editore, 2014.
[4] Lizzola I., Aver cura della vita, Dialoghi a scuola sul vivere e sul morire, Castelvecchi, 2021.
[5] Mortari L., La sapienza del cuore, Pensare le emozioni, sentire i pensieri, Raffaello Cortina Editore, 2017.
[6] Weil S., Le ombre e la grazia, SE, 1947.
[7] Demetrio D., Educare è narrare, Le teorie, le pratiche, la cura, Mimesis, Scienze della narrazione, 2012.
[8] Batini F., Storie, futuro e controllo, le narrazioni come strumento di costruzione del futuro, Liguori Editore, 2011
[9] Ibidem.
[10] Morin E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, 2001.
[11] Violante L., Buttafuoco P., Mannese E., Pedagogia e politica. Costruire comunità pensanti, Pensa Multimedia, 2021.
[12] Raimondo E. M., I saperi che orientano: il paradigma narrativo per una didattica orientativa, Lifelong Lifewide Learning, VOL. 20, n. 43, 2023.
[13] Mannese E., Manuale di Pedagogia Generativa e Sistema-Mondo. Epistemologie e Comunità Pensanti per l’Homo Generativus, Pensa Multimedia, 2023.


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