Liberare le emozioni… per una esperienza didattica vincente
ABSTRACT
Il lavoro si inserisce all’interno della riflessione sulle emozioni, per comprendere in quale misura possano trasformarsi in una risorsa per l’apprendimento del bambino. Nell’analisi introduttiva le emozioni saranno affrontate da diversi punti di vista: dagli studi di Daniel Goleman sullo sviluppo dell’intelligenza emotiva alle scoperte scientifiche che provengono dall’ambito delle neuroscienze; dallo studio delle emozioni nella psicologia all’esplorazione del loro ruolo nell’educazione e nella didattica. In merito al settore dell’apprendimento è necessario chiedersi se le emozioni possano trasformarsi in una risorsa per il bambino che apprende, sulla base degli studi e degli approfondimenti relativi ad una più efficace prassi educativo-didattica. I risultati del lavoro permetteranno di dimostrare che l’apprendimento diventa più efficace, più coinvolgente e più significativo se si liberano le emozioni poiché stimolano la partecipazione e la voglia di imparare. Ma le emozioni diventano una risorsa per l’apprendimento se nominate, riconosciute, declinate e liberate: si trasformano allora in terreno di innesto del processo di apprendimento, di crescita e di trasformazione che accompagna la formazione del bambino. Le emozioni costituiscono una risorsa per la formazione nel profondo dell’intelligenza, generano un apprendimento vero, naturale e duraturo e aumentano la voglia e la disponibilità ad apprendere. Il ruolo e la preparazione dell’educatore/docente diventano il punto cardine attorno al quale ruota la riflessione sulle possibilità di realizzazione di una didattica “emozionale”.
The work is part of the reflection on emotions, to understand to what extent they can be transformed into a resource for the child’s learning. In the introductory analysis, emotions will be addressed from different points of view: from Daniel Goleman’s studies on the development of emotional intelligence to the scientific discoveries that come from the field of neuroscience; from the study of emotions in psychology to the exploration of their role in education and teaching. With regard to the learning sector, it is necessary to ask ourselves whether emotions can be transformed into a resource for the learning child, based on studies and insights relating to a more effective educational and teaching practice. The results of the work will demonstrate that learning becomes more effective, more engaging and more meaningful if emotions are released as they stimulate participation and the desire to learn. But emotions become a resource for learning if named, recognised, expressed and released: they are then transformed into the basis for the process of learning, growth and transformation that accompanies the child’s education. Emotions constitute a resource for the formation of the depths of intelligence, they generate true, natural and lasting learning and increase the desire and willingness to learn. The role and preparation of the educator/teacher become the key point around which the reflection on the possibilities of creating “emotional” teaching revolves.
Introduzione
Questo saggio si inserisce all’interno della riflessione sulle emozioni, per comprendere se e in quale misura esse possano trasformarsi in un’importante risorsa per l’apprendimento del bambino.
L’idea di redigere un saggio su questa tematica mi è stata data dall’esperienza ultradecennale di educatrice prima e di docente di scuola primaria poi, che mi ha reso una testimone privilegiata del mondo dell’apprendimento e dell’educazione.
Tra gli studiosi meritevoli di menzione ricordiamo Daniel Goleman, che evidenziò l’importanza delle componenti emotive nelle funzioni più razionali del pensiero, spiegando come mai, ad esempio, persone dal quoziente intellettivo elevato risultassero fallimentari in numerosi campi, tra cui il lavoro. La risposta sta nel fatto che, per affrontare svariate situazioni della nostra vita, la sola “intelligenza nozionistica” non basta, ma sono necessarie anche un insieme di attitudini e capacità socio-emotive come l’autocontrollo, la perseveranza, l’empatia, la cura e l’attenzione verso gli altri.
Il compito fondamentale di un buon insegnante e di un buon educatore è teso a fornire un contributo efficace per sviluppare i piaceri dell’apprendimento. Esplorando il ruolo delle emozioni nella pratica didattica, si possono comprendere quali supporti possano fornirci le conoscenze sulle emozioni allo scopo di migliorare l’esperienza didattica del bambino.
Dopo una breve introduzione sull’urgenza di educare alle emozioni, viene riportata l’esperienza del progetto realizzato con i miei alunni di classe terza di un Circolo Didattico della provincia di Foggia. Con il progetto “Liberare le emozioni” i piccoli sono stati aiutati ad entrare in contatto con la propria sfera emotiva, imparando strategie che permettano loro di riconoscere ed esprimere in modo efficace ciò che sentono. Inoltre il progetto ha voluto non solo migliorare la capacità di auto-riflessione, ma anche favorire il dialogo tra pari e la condivisione delle esperienze. Infatti l’acquisizione di una buona competenza emotiva risulta fondamentale per la crescita individuale del bambino e per migliorare le abilità sociali utili per relazionarsi in modo positivo e soddisfacente, in quanto le emozioni costituiscono il mediatore fondamentale tra sé e l’ambiente circostante.
Per concludere, il presente saggio ha la finalità di comprendere che la grande sfida dell’educazione attuale è quella di formare studenti che possano costruire o modificare il loro futuro piuttosto che essere costretti ad adeguarsi ad esso. E’ necessario preparare gli studenti a saper anticipare i cambiamenti che verranno, favorendo la loro capacità di pensare e di gestire le proprie emozioni. Attraverso l’educazione emotiva, si ha la possibilità di ridisegnare la scuola, per aggiornare i suoi metodi di sviluppo andando oltre l’aspetto cognitivo per allargarsi sempre più alla sfera emotiva, al fine di garantire la totalità formativa dello studente. Emozioni e cognizioni devono “dialogare” tra loro.
Infatti è stato dimostrato che sviluppare le competenze socio-affettive porta ad un aumento dei benefici come l’apprendimento efficace, il miglioramento della buona condotta in classe e il ribasso dei comportamenti antisociali come la violenza e il bullismo.
- L’intelligenza emotiva
Le premesse teoriche per la definizione del concetto di Intelligenza Emotiva possono essere rintracciate negli anni ottanta dello scorso secolo e in particolare nei contributi di due studiosi: Robert Sternberg e Howard Gardner.
Uno dei maggiori contributi di Sternberg è il suo modello triarchico dell’intelligenza efficace (1985)[1] secondo il quale il pensiero umano si fonda su tre tipi di intelligenze fondamentali: quella analitica, quella pratica e quella creativa.
- L’intelligenza analitica comprende la capacità di analizzare, di valutare, di esprimere giudizi e operare confronti tra elementi diversi.
- L’intelligenza creativa, legata all’intuizione, si realizza nella capacità di inventare, di scoprire, di immaginare e di affrontare con successo situazioni nuove per le quali le conoscenze e le abilità esistenti si mostrano inadeguate.
- L’intelligenza pratica comprende invece la capacità di utilizzare strumenti, applicare procedure e attuare piani e progetti.
In un’indagine del 1985 lo studioso, con l’aiuto dei suoi collaboratori, condusse un sondaggio sulle capacità che un uomo deve possedere per essere definito “intelligente”. Fra le caratteristiche principali vennero citate numerose capacità pratiche riguardanti le relazioni personali inducendo così Sternberg a confermare che l’intelligenza sociale, che lui chiamò pratica, è distinta dalle capacità scolastiche ed è parte integrante delle doti che consentono alle persone il raggiungimento del successo nella vita.
Il secondo contributo, invece, ci viene offerto da Howard Gardner, considerato uno dei più importanti esponenti dei teorici dell’intelligenza fattorialista. Nel suo libro più famoso, “Formae mentis”, lo studioso criticò la tesi globalista secondo la quale gli uomini possiedono un unico tipo di intelligenza, misurabile con strumenti psicometrici standard: questa teoria[2], introdotta soprattutto da Binet in Francia, stabiliva che questa misurazione poteva essere espressa in modo numerico attraverso il cosiddetto “quoziente di intelligenza” (IQ). Gardner, al contrario, sostenendo che non esiste un’unica intelligenza di base che possa essere riconosciuta attraverso un singolo numero, espose la sua teoria delle “Intelligenze Multiple” descrivendone sette varietà fondamentali:
- Linguistica (Word Smart): permette agli individui di comunicare tra loro attraverso i meccanismi di elaborazione dell’informazione linguistica.
- Musicale (Music and Nature Smart): permette agli individui di creare, capire e comunicare significati veicolati dal suono.
- Logico-Matematica (Number Smart): comporta l’uso del ragionamento astratto.
- Spaziale (Picture Smart): permette agli individui di percepire informazioni visive o spaziali trasformando o costruendo delle immagini in assenza di uno stimolo fisico corrispondente.
- Corporeo-Cinestesica (Body Smart): permette agli individui di controllare i propri movimenti, di riconoscere le posizioni del proprio corpo nello spazio e di manipolare gli oggetti.
- Intrapersonale (Self Smart): va ricondotta ai primi anni di vita e ai processi di individuazione/separazione e consente agli individui di riconoscere la propria vita affettiva e le proprie emozioni.
- Interpersonale (People Smart): anch’essa chiama in causa le relazioni affettive precoci e permette agli individui di distinguere gli stati d’animo, le motivazioni e le intenzioni degli altri.
L’intelligenza intrapersonale, nello specifico, si riferisce al riconoscimento e alla gestione dei sentimenti, ed è molto vicina a quella che verrà definita, in seguito, come intelligenza emotiva. Gardner la descrive come la capacità di accedere “all’ambito dei propri affetti e delle proprie emozioni, di discriminare istantaneamente tra questi sentimenti simbolici, di attingere ad essi come mezzo per capire e guidare il proprio comportamento e di distinguere un senso di piacere da un senso di dolore”.[3]
È con Gardner quindi che le emozioni assumono per la prima volta lo status di vere e proprie espressioni dell’intelligenza.
Sulla base di questi due antecedenti, il concetto di Intelligenza Emotiva nacque nel 1990 ad opera di due Psicologi, Peter Salovey e John Mayer, che, in un famoso articolo, la definirono per la prima volta come “il sottosettore dell’intelligenza sociale che include l’abilità di controllare i sentimenti e le emozioni proprie e altrui, di discriminare tra di esse e di usare queste informazioni per guidare il proprio pensiero e le proprie azioni“[4].
Successivamente è stata definita come segue: “L’intelligenza emotiva coinvolge l’abilità di percepire, valutare ed esprimere un’emozione; l’abilità di accedere ai sentimenti e/o crearli quando facilitano i pensieri; l’abilità di capire l’emozione e la conoscenza emotiva; l’abilità di regolare le emozioni per promuovere la crescita emotiva e intellettuale” [5]
Lo psicologo-giornalista che portò la società ad aumentare l’interesse verso questa “nuova” tematica è stato Daniel Goleman che, nel 1995, pubblicò il best-seller “Emotional Intelligence: Why It Can Matter More Than IQ” tradotto in italiano nel 1997 in Intelligenza emotiva che cos’è e perché può renderci felici. Nel suo libro l’autore sottolineò la necessità di promuovere accanto all’intelligenza cognitiva anche quella emotiva.
Lo studioso definì l’intelligenza emotiva come “la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare.”
Lo psicologo individua in questa definizione cinque aspetti fondamentali:
- Conoscenza delle proprie emozioni (autoconsapevolezza): la capacità di riconoscere un sentimento nel momento in cui si presenta e la continua attenzione ai propri stati interiori.
- Controllo delle emozioni: la capacità di controllare i sentimenti in modo che essi siano appropriati e si fonda sull’autoconsapevolezza. Saper manifestare le emozioni in maniera adeguata è il fulcro dell’adattamento sociale.
- Motivazione di se stessi: la capacità di dominare le emozioni per raggiungere un obiettivo e significa saperle incanalare in una direzione positiva, metterle al servizio di un compito come tendenza all’iniziativa e all’ottimismo.
- Riconoscimento delle emozioni altrui (o empatia): la capacità d’immedesimarsi con gli stati d’animo e con i pensieri altrui sulla base della comprensione dei loro segnali emozionali (verbali o non verbali). Si basa sulla consapevolezza delle proprie emozioni ed è fondamentale nelle relazioni con gli altri.
- Gestione delle relazioni (o dei conflitti): l’arte delle relazioni consiste in larga misura nella capacità di guidare le emozioni altrui. È l’abilità di rimuovere gli ostacoli che impediscono un contatto armonico con gli altri.
Dopo la definizione dei vari ambiti in cui l’Intelligenza Emotiva esercita, anche inconsapevolmente, la sua influenza (prestazioni di lavoro, salute psicofisica e rapporti interpersonali), il concetto di Intelligenza emotiva è stato introdotto ed applicato in molteplici campi, tra cui [6]:
- Il lavoro: sempre più spesso, tra i parametri per la selezione del personale, non compaiono soltanto la preparazione e l’esperienza del candidato, ma vengono presi in considerazione anche il modo di comportarsi e di trattare con gli altri. [7]
- La scuola: una scuola attenta all’apprendimento emozionale e allo sviluppo delle competenze sociali e interpersonali fornisce agli allievi un bagaglio di competenze utili per tutta la vita.
- L’ assistenza: avere medici ed infermieri che siano in sintonia con i pazienti, capaci di ascoltarli e di farsi ascoltare, alimenta un’assistenza centrata sulla relazione.
In conclusione possiamo affermare che il nostro livello di I.E non è fissato alla nascita, né si sviluppa solo durante la prima infanzia. A differenza del QI, che va incontro a pochi cambiamenti una volta passata l’adolescenza, l’intelligenza emotiva sembra in larga misura appresa e continua a svilupparsi durante tutta la vita attraverso l’esperienza e i processi di apprendimento.
- Le emozioni nella pratica educativa
Alla luce delle considerazioni fatte fin qui, proviamo ora a capire quale sia la situazione che emerge nei luoghi dell’educazione.
Tante riflessioni e tanti studi sulla necessità di coniugare gli aspetti cognitivi con quelli emozionali e sul must di un’educazione che risvegli l’interesse degli allievi e li coinvolga, un’educazione che entri in proficua concorrenza con la molteplicità dei media che attualmente compongono l’offerta del mercato dell’intrattenimento per bambini e ragazzi. Allora quale deve essere il ruolo degli educatori, degli insegnanti, dei tutor e di coloro che quindi si occupano dei bambini e dei ragazzi nelle istituzioni educative? Non è semplice rispondere a tali interrogativi, ma l’importante è innanzitutto porsi queste domande per affrontarne il problema.
L’esperienza educativo-formativa è costituita da una serie di dimensioni cariche di implicazioni emotive, che ciascun soggetto porta con sé come bagaglio di storia personale. Le dimensioni a cui facciamo riferimento vanno dalla corporeità al non verbale, dal potere al dovere, dalle prestazioni all’affettività, dalle dinamiche di gruppo alla distanza, dalla vicinanza alla separazione.
L’educatore, il formatore, l’insegnante e chiunque altro è in rapporto con l’altro in formazione, devono “tenere in seria considerazione il peso e l’incidenza degli aspetti relazionali nei processi formativi, così come essere sostenuti nell’elaborazione della propria paura, angoscia, bisogno di dipendenza, incertezza, costitutive della natura umana. Imparare a leggere le dinamiche relazionali è ormai diventata una competenza relazionale, considerata parte costitutiva delle professionalità”[8] operanti in ambito educativo e formativo. Senza dimenticare che un insegnante consapevole, equilibrato, emozionalmente maturo, che non si fa prendere dall’ansia, dalla sfiducia, dal senso di inadeguatezza e dall’aggressività, è un insegnante che ha a cuore i suoi allievi, che li considera nella loro interezza, che ne cura l’educazione in modo appassionato favorendo un clima di classe positivo e un apprendimento significativo e coinvolgente.
A scopo provocatorio proponiamo “un elenco di comportamenti sbagliati”[9] che un insegnante non dovrebbe mai assumere nei confronti degli alunni.
Come un insegnante può distruggere la voglia di imparare dell’alunno:
- Assumere un atteggiamento arrogante e intollerante.
- Svalutare l’alunno o ricorrere a offese personali.
- Ricorrere frequentemente a minacce e a punizioni.
- Incoraggiare un clima competitivo in cui qualcuno emerge a scapito degli altri
- Trascurare di valorizzare l’alunno e di incoraggiarlo.
- Caricare di compiti superflui per casa.
- Ignorare i piccoli sforzi e i piccoli successi dell’alunno.
- Fare continui paragoni e confronti tra gli alunni
- Trattare in modo non equo gli alunni privilegiando i propri “pupilli”.
- Il ruolo delle emozioni in ambito didattico
Il nostro percorso ci conduce ora verso una riflessione sulla didattica e sulle implicazioni emotive che vi sottendono per comprendere come le emozioni possano essere di supporto all’esperienza didattica della persona. Prima di tutto cerchiamo di definire cosa intendiamo per didattica. “La didattica è sempre stata considerata una disciplina assolutamente preziosa per coloro che si dedicano all’insegnamento. […] La definizione classica che essa fosse arte, quindi attitudine irripetibile personale e scienza, quindi padronanza di tecniche comunicative coinvolgenti”[10] si arricchisce di un tratto distintivo forte che la fa trasformare in “progetto organizzativo che spiana la strada all’azione”. Quando parliamo di didattica facciamo riferimento a quel complesso di interventi volti a progettare, improntare, gestire e valutare “ambienti di apprendimento” adatti al gruppo di riferimento con cui andremo ad operare. E questo presuppone la conoscenza di strumenti e metodologie, l’individuazione di approcci culturali adeguati e la predisposizione di sistemi di scaffolding, di un’impalcatura sia funzionale che emozionale di supporto, che ha l’obiettivo di aiutare ed orientare le persone nella formazione. “La didattica legittima e orienta l’azione”, sottolinea Lanfranco Rosati, e ci permette di “trarre indicazioni concrete ed efficaci per fare e per fare bene”[11]. Il concetto di didattica emerge “ogni qualvolta ci si interroga sul modo migliore di promuovere processi di apprendimento e comunque di intervenire con un’azione deliberata e intenzionale volta non già a reprimere o soffocare, ma a liberare e suscitare potenzialità creative nella persona umana”[12]. Una buona didattica è alla base del successo formativo.
Didattica che “illumina e orienta l’azione educativa”[13], didattica che mira ad individuare “i percorsi più agili per condurre la persona a farsi colta”[14], didattica che con i suoi interventi è attenta ad evocare le potenzialità della persona – “la memoria, l’attenzione, il sentimento, il linguaggio, la volontà, la percezione, il pensiero”- solo per citarne alcune; didattica come dispositivo rivolto “a strutturare situazioni d’apprendimento individuale o di gruppo per generare differenze (cambiamenti, riassetti, modificazioni) a livelli diversi (cognitivo, sociale, comportamentale…)”[15], si tratta di didattiche “fondate su fatti ed eventi che intercettano un problema o sulle relazioni tra soggetti coinvolti”[16].
Sbagliare approccio didattico vuol dire non fornire alla persona in formazione ciò di cui ha bisogno per il suo apprendimento verso il cambiamento e la trasformazione, per dirla con Mezirow [17]. Non considerare gli aspetti emozionali nella progettazione di un intervento didattico vuol dire non considerare la persona come tale, nella sua interezza e peculiarità, vuol dire fare riferimento alle sole facoltà intellettive e cognitive senza coinvolgere il mondo emozionale che risulta parte essenziale di quell’unicum mente e cuore, corpo e cervello caratterizzante la natura umana. Se è vero che “l’uomo è tanto più sapiens quanto più è sentiens”57.
Le emozioni in ambito didattico devono essere prese in considerazione, perché non si vedono solo se non siamo abituati a farlo, se non siamo formati a vederle o non vogliamo vederle. Qualunque educatore, insegnante e formatore “fa educazione affettiva attraverso il modo in cui organizza e gestisce l’insegnamento”[18], anche inconsapevolmente. Se cerca di creare un clima di equilibrio e di dialogo, se lavora con buon senso e disponibilità, se dimostra fermezza nelle sue azioni, se opera con passione e testimonia l’amore verso la propria disciplina, se trasmette il valore della conoscenza e della cultura, il professionista dell’educazione sta facendo educazione affettiva. E la sta facendo all’interno di un processo lungo e impegnativo, che non promette una soluzione miracolosa dei problemi, qui ed ora, ma ne garantisce il successo a lungo termine. “Un’educazione affettiva così concepita, ingranata nelle attività didattiche e nei loro contesti”[19], deve avere avvio nel periodo scolastico e poi proseguire come punto fermo di tutta quella serie di attività formative nei contesti formali, non formali ed informali, che andranno a caratterizzare l’imprescindibile percorso di lifelong e lifewide learning delle persone, un apprendimento che quindi comprende tutto l’arco della vita della persona e la globalità della stessa, nella sua ampiezza complessiva.
- La didattica emozionale
La didattica che include la dimensione emozionale nei suoi processi, ponendo massima attenzione allo spazio interiore, alla valorizzazione di ogni forma di diversità e alla formazione di essere umani completi, in un clima di libera espressione inizia ad essere definita “didattica emozionale”. E’ ancora internet che ci fornisce il polso della situazione: con la dizione didattica emozionale vengono pubblicizzati interventi formativi online rivolti alla sfera comportamentale, con l’obiettivo dichiarato di coinvolgere simultaneamente “pancia e cervello” [20]; la didattica emozionale compare nella Pagina Maieutica del Blog Scuola accostata alla figura del docente [21]; con la stessa dicitura vengono pubblicizzati Concorsi Internazionali di poesia (X-Media, Composizioni Poetiche Multimediali 2009), inseriti all’interno di “quelle attività che si potrebbero definire di didattica emozionale, con cui si sollecitano le spontanee emozioni dei giovani, incanalandole verso momenti di sistematizzazione e quindi di consapevolezza del loro significato”[22]; ancora, week-end formativi di poesia e didattica emozionale per bambini, mirati alla sperimentazione, con il disegno, il gesto e la parola, dell’espressione delle proprie emozioni [23]. Anche se si sta iniziando a familiarizzare con il termine della “didattica emozionale”, purtroppo ancora non entra a far parte integrante della progettazione di un insegnante/educatore, forse anche perché non riceve una formazione adeguata in merito. Non si può trasmettere ciò che non si apprenda o si interiorizzi. Non si può pensare di fare “didattica emozionale” con la semplice programmazione di un progetto o di un’unità didattica che abbia come obiettivi e contenuti, le emozioni. E’ fondamentale che un docente/educatore si metta in gioco e progetti nella piena convinzione che la sfera emotiva del suo allievo abbia la stessa valenza di quella cognitiva.
- L’importanza di liberare le emozioni
Le emozioni ricoprono un ruolo indispensabile nella nostra vita, ognuna di esse infatti svolge una funzione ben precisa per il nostro benessere psicofisico.
Sperimentare gioia è fondamentale nella vita perché porta alla ricerca del contatto sociale. Ma anche la tristezza è parte integrante della nostra esistenza e come la gioia, ha bisogno di essere condivisa per svolgere pienamente la sua funzione. Le due emozioni, pertanto, non devono essere considerate come antitetiche e nemiche, ma al contrario, come indissolubili e complementari.
Dunque è necessario liberare le emozioni, affinché tutte possano partecipare al concerto di un’orchestra, dove ogni strumento, come ciascuna emozione, è indispensabile per giungere ad un suono armonioso. Pertanto oltre alla gioia e alla tristezza anche altre emozioni hanno bisogno di essere “ascoltate”.
La paura è un’emozione primordiale che si attiva per fronteggiare o evitare un stimolo qualunque, sia esterno che interno al nostro organismo, percepito come potenzialmente pericoloso. Se non provassimo quest’emozione, quindi, metteremmo a rischio la nostra vita.
Il disgusto ci aiuta a non vivere in uno stato di eterna indecisione e ci spinge ad organizzarci per modificare la situazione in cui ci troviamo, scartando ciò che non rispecchia le nostre preferenze per far spazio a ciò che desideriamo davvero.
Se non provassimo mai rabbia, infine, resteremmo in balia delle ingiustizie e non avremmo modo di difendere i nostri diritti e i nostri bisogni.
La rabbia, però, può trasformarsi da funzionale a disfunzionale in due casi. Nel primo la rabbia non espressa o rabbia repressa diventa distruttiva verso noi stessi, spesso infatti, la soppressione di questa emozione porta allo sviluppo di disturbi psicosomatici, ossia manifestazioni corporee causate da disagi psicologici. Nel secondo caso, invece, la rabbia mal gestita che viene espressa in modo incontrollato diventa distruttiva verso gli altri. Le due situazioni appena esposte risultano entrambe sbagliate in quanto rappresentano due eccessi che non giovano alla nostra salute e alle relazioni interpersonali.
Alla luce del ruolo funzionale di ogni emozione, è necessario procedere ad una rivalutazione delle emozioni a valenza negativa: dunque anch’esse sono utili al nostro benessere e hanno bisogno di essere accettate ed espresse in maniera adeguata.
Per compiere questi due importanti passi è indispensabile riconoscere lo stato emotivo che stiamo vivendo[24]. Questo presupposto può essere sintetizzato in due parole: consapevolezza emotiva[25]: una forma di osservazione di sé che permette all’individuo di guardare i propri stati interni, riconoscerli, identificarli e dar loro un nome. Ciò implica anche che la persona domina un vocabolario emotivo sufficientemente ricco, che gli permetta di esprimere esattamente quello che sente. Tuttavia, la consapevolezza emotiva permette anche di capire come le emozioni influenzino il nostro comportamento, di trovare la causa di queste emozioni e di imparare ad usarle a nostro favore.
Spesso però i bambini non sono in grado di indicare con facilità i termini adeguati per descrivere l’emozione che stanno provando e dunque necessitano dell’aiuto dell’adulto per identificarle e classificarle. La famiglia e la scuola rivestono, in questo processo, un ruolo fondamentale essendo i primi luoghi in cui il bambino inizia a rapportarsi con la sua sfera emotiva e a confrontarsi con quella altrui.
Per quanto riguarda la famiglia, sono proprio i genitori che con le loro interazioni, con il loro esempio dotano il bambino di un’educazione che inizia a strutturarsi in età evolutiva. È all’interno di questo schema interazionale che il bambino impara a dare valore ai propri stati emotivi, ne comprende il significato e soprattutto apprende come regolarli. Per essere buoni genitori serve soprattutto saper ascoltare e riuscire a percepire lo stato del bambino.
La scuola, d’altro canto, non dovrebbe rappresentare soltanto il luogo istituzionale dell’apprendimento, ma un terreno privilegiato dove costruire gradualmente la propria identità, scoprire abilità e inclinazioni, vivere e comunicare emozioni. La scuola ha bisogno di aiutare il soggetto che apprende, nei diversi segmenti formativi, a “costruire” una corretta dimensione di sé e delle sue potenzialità nel concreto rapportarsi quotidiano con gli altri. Questa è un’operazione, frutto di una continua attenzione emotivo/affettiva, che i responsabili del processo educativo dovrebbero costantemente attuare. Per supportare lo sviluppo corretto dell’emotività è utile tentare di individuare e classificare le emozioni: dargli un nome significa stabilire un’egemonia su di esse. Saperle ascoltare, invece, consentirà l’esercizio di una metacognizione (o autoconsapevolezza), necessaria a garantire un maggiore controllo sulle loro dinamiche.
- Introduzione al progetto
Purtroppo, tra le notizie apprese ogni giorno, non mancano mai dolorosi fatti di cronaca riguardanti episodi di aggressività, fenomeni di bullismo o cyberbullismo, atti di violenza privi di senso e omicidi in preda ad emozioni incontrollabili.
Se analizzassimo la situazione allarmante potremmo riscontrare un aspetto comune: tutte queste manifestazioni aggressive sono segno di un “malessere emozionale” causato da gravi carenze relative all’autocontrollo, alla capacità di gestire le proprie emozioni e di provare empatia verso il prossimo.[26]
A fronte di questo “Analfabetismo Emozionale”[27] il rimedio è nel modo in cui prepariamo i bambini alla vita: non dobbiamo lasciare l’educazione emozionale al caso, ma prevedere nella progettazione l’apprendimento dell’autocontrollo, dell’autoconsapevolezza, dell’empatia, dell’ascolto e della cooperazione. È necessaria quindi una vera e propria alfabetizzazione emozionale che porti i bambini a vivere con intelligenza le proprie emozioni.
L’attribuzione di un grande rilievo a questa dimensione dell’alfabetizzazione nella scuola rappresenta dunque un punto di partenza per permettere, fin dalle prime tappe dell’istruzione, il corretto sviluppo e sostegno dell’Intelligenza Emotiva.
L’importanza di questi interventi educativi è da tempo sostenuta da importanti enti istituzionali quali l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e il Ministero dell’ Istruzione e del Merito
L’OMS, all’interno del documento ufficiale “Life skills education in school” del 1993, sottolinea l’importanza di introdurre nella scuola un’attenzione mirata alla promozione delle competenze socio-affettive denominate Life skills, cioè “le abilità e competenze che è necessario apprendere per mettersi in relazione con gli altri e per affrontare i problemi, le pressioni e gli stress della vita quotidiana.”[28] Tra queste compaiono molte delle capacità che rientrano nella sfera della “Intelligenza Emotiva” come la consapevolezza di sé, la gestione delle emozioni, dello stress e del conflitto, l’utilizzazione del pensiero creativo, la capacità di essere empatici, avere buone relazioni interpersonali e comunicare in modo efficace
D’altro canto, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha definito i PECUP, cioè i Profili Educativi Culturali e Professionali in cui vengono descritti gli obiettivi generali e imprescindibili che costituiscono la base per consentire ad un ragazzo e ad una ragazza sia di affrontare in modo positivo le esperienze scolastiche e del vivere quotidiano che garantire un responsabile inserimento nella vita familiare, sociale e civile.
Sono indicazioni che il Ministero fornisce a tutti cicli scolastici, ma, secondo il principio dell’autonomia scolastica, viene lasciata ai singoli istituti la scelta di come organizzare e realizzare i diversi percorsi.
L’istruzione e la formazione rappresentano le vie a cui “indirizzare” il singolo individuo, fin dall’infanzia, verso quelle conoscenze, abilità e competenze, atte a permettergli di affrontare e risolvere i vari problemi che la vita quotidiana gli riserva. Si tratta di aiutare l’individuo a diventare una persona, un cittadino, un lavoratore responsabile, partecipe alla vita sociale, capace di assumere ruoli e funzioni in modo autonomo, per affrontare le vicissitudini dell’esistenza.
6.1 Gli obiettivi e la struttura del progetto
Il presente progetto psicoeducativo si inserisce in quest’ottica di prevenzione dei disagi emotivi e di promozione del benessere psicofisico. Il titolo “Liberare le emozioni” rivela la finalità ultima della ricerca: proporre un percorso di alfabetizzazione emotiva in grado di far conoscere a fondo le emozioni fondamentali, far comprendere la funzione costruttiva di ognuna di esse e, rendendole familiari, condurre alla loro accettazione. Più nel dettaglio, gli obiettivi previsti sono stati diversi:
- Riconoscere le emozioni ed espandere il vocabolario emotivo
- Comprendere la diversa intensità delle emozioni
- Aiutare ad accettare anche le emozioni spiacevoli e trovare strategie per esprimerle in modo costruttivo
- Insegnare il rapporto tra pensieri, emozioni e comportamento (pensieri che possono indurre emozioni piacevoli o spiacevoli, che influenzano l’azione)
- Apprendere a collaborare anziché competere
- Sviluppare abilità sociali positive come empatia e gentilezza
- Creare un gruppo classe coeso e collaborativo
- Fornire strategie per migliorare le abilità relazionali e la comunicazione con coetanei e adulti
- Proporre esercizi utili per affrontare autonomamente compiti e situazioni che creano stress
I destinatari del progetto sono stati diciassette bambini, iscritti alla classe terza di una Scuola Primaria della provincia di Foggia.
Il percorso ha avuto inizio a fine novembre dello scorso anno e ha investito cinque mesi di lavoro con incontri focali di due ore con cadenza bisettimanale, ma essendo la docente prevalente della classe ho potuto inserire nella progettazione di tutte le discipline varie esperienze didattiche, che hanno posto attenzione anche alla sfera emotiva. Per quanto riguarda la metodologia adottata, ho cercato di articolare l’intero percorso utilizzando diverse strategie di insegnamento/apprendimento e presentando una moltitudine di attività. La decisione di variare gli esercizi proposti, è stata presa intenzionalmente per far sì che ogni bambino e bambina trovasse il modo più appropriato per esprimere la sua interiorità. Il progetto si è articolato attraverso sei fasi.
Nella mattina in cui avevo previsto la realizzazione della penultima fase, ogni bambino è giunto a scuola con un libro rovinato o “scarabbocchiato” dai fratellini più piccoli ed io ho presentato ai bambini un grande cartellone azzurro su cui vi era scritto solo il titolo: “Il nostro caviardage”.
Prima di iniziare l’attività, però, ho ritenuto essenziale far comprendere loro lo scopo del nostro lavoro. Ho stimolato così una conversazione, partendo dal titolo del cartellone e in particolare dal termine “Caviardage”. Data la difficoltà del termine ho raccontato ai bambini chi fosse l’inventrice di questa tecnica, ovvero la maestra Tina Festa, e il motivo di tale ideazione. Il senso del caviardage è stato quello di creare un proprio componimento partendo dalla pagina di un libro, annerendo le parti che non servivano e mettendo in evidenza solo le parole che per i bambini avevano un significato emotivo.
Per dare inizio a questo viaggio introspettivo ho chiesto ai bambini come si sentissero in quel preciso momento cercando di stimolare una riflessione sui propri stati emotivi. In questo modo ogni bambino e bambina ha liberato le sue emozioni attraverso la tecnica del caviardage.
Illustrazione 1: Il nostro caviardage
La finalità educativa di questo esercizio è stata quella di permettere ai bambini di allenare la capacità di autoconsapevolezza, cioè il rivolgere un’attenzione particolare al nostro mondo interiore fatto di pensieri e sensazioni.[29]. Etichettare l’emozione che si sta provando, infatti, aiuta i bambini a liberarla, un presupposto essenziale sia per prendere decisioni appropriate che per gestire le emozioni nel corso della vita.
6.2 La valutazione del progetto
Nell’errata convinzione che la sfera emotiva evolva secondo un processo naturale, genitori ed insegnanti hanno sempre dedicato una maggiore attenzione alla sfera razionale dei bambini. Questo però non ha fatto altro che contribuire alla diffusione di una sorta di analfabetismo emozionale che si è riversato in modo negativo sull’intera società.
Potenziare le competenze socio-emotive può portare numerosi benefici sul rendimento scolastico e lavorativo in quanto, ad esempio, permettono di stimolare la presa di decisioni e valutazioni, di migliorare i rapporti interpersonali e di incrementare le capacità attentive e mnemoniche.
La famiglia e la scuola sono, in quest’ottica, due contesti fondamentali in cui i bambini possono potenziare quell’aspetto dell’intelligenza definito emotivo. Permettere al piccolo di essere “emotivamente intelligente” non vuol dire suggerirgli di essere sempre felice, ma piuttosto permettergli di riconoscere e liberare ogni emozione vissuta, sia piacevole che spiacevole, per regolarla e utilizzarla come supporto e guida al pensiero e al comportamento.
L’educazione emotiva inizia sin dal primo giorno di vita grazie ai gesti e alle cure dei nostri genitori che diventano modelli d’insegnamento attraverso i loro modi di agire. La scuola subentra, in un secondo tempo, con il compito di non sostituire il sistema familiare ma relazionarsi ad esso per costruire un progetto educativo stabile e coerente in grado di sostenere, nel migliore dei modi, i ragazzi nel loro percorso di crescita. Daniel Goleman, nel suo best seller “Emotional Intelligence”, ha sottolineato l’estrema importanza di questa istituzione in quanto spesso, purtroppo, è chiamata a correggere le carenze riguardanti le capacità emozionali e sociali di ragazzi non sostenuti adeguatamente dalle famiglie. Avere la possibilità, all’interno di contesti scolastici, di potenziare i vari aspetti multidimensionali dell’intelligenza, permetterebbe quindi, anche ai bambini più svantaggiati, di scoprire se stessi e ricevere la giusta educazione alla vita.
Il progetto psicoeducativo che ho proposto in questo saggio è un semplice contributo per evidenziare l’importanza di realizzare percorsi di alfabetizzazione emozionale, intenzionalmente programmati, sin dalla più tenera età. Gli studenti con cui ho lavorato, infatti, avevano tra i sette e gli otto anni, ma nonostante la loro giovane età, si sono mostrati capaci di comprendere l’utilità di ogni esercizio proposto.
Dopo cinque mesi di lavoro i bambini e le bambine hanno dimostrato di saper riconoscere le emozioni, prestar loro l’adeguata attenzione e liberarle. Alunni che, ad esempio, reagivano spesso in modo instintivo e quasi violento durante i piccoli litigi, si sono mostrati più comprensibili e attenti a non ferire emotivamente i compagni.
Se educare, in fondo, significa aiutare l’altro a trasformare la possibilità in capacità, ogni insegnante dovrà sforzarsi sempre di valorizzare la personalità di ogni studente, fornendogli occasioni per coltivare ogni sua passione e potenzialità. Ascoltare i bisogni degli alunni non è mai tempo sprecato, ma contribuisce a creare un contesto di apprendimento più confortevole ed incoraggiante.
La responsabilità educativa è di fondamentale importanza in quanto noi educatori contribuiamo alla formazione globale di una persona, che ben presto diventerà il futuro del nostro Paese. Se dunque desideriamo vivere in una società in cui ogni cittadino possieda le giuste competenze socio-emotive, necessarie per il benessere individuale e collettivo, perché non inserire i vari percorsi di Intelligenza Emotiva all’interno di ogni progettazione didattica?
Riprendendo le parole attualissime di Golemann, che ha contribuito a diffondere questa importante teoria concludo:
«Nessun percorso è una risposta al problema. Ma data la crisi che i nostri alunni si trovano a fronteggiare, e data la speranza alimentata dai percorsi di alfabetizzazione emozionale, non dovremmo, ora più che mai, insegnare ad ogni alunno queste abilità, che sono essenziali per la vita? E se non ora, quando? »[30]
CONCLUSIONI
Ricordo ancora lo sguardo di Luigi, Alessia, Fabrizio, Martina, Severo e Michela, bambini con una storia difficile alle spalle, non dimenticherò mai i loro sorrisi e le loro inquietudini. Questi alunni “speciali” hanno nutrito la mia passione per l’insegnamento, mi hanno fatto mettere sempre in gioco, mi hanno insegnato che l’errore è sempre una risorsa. Mi hanno fatto riflettere che bisogna essere umili, nel senso di non arrendersi mai e di ricominciare, qualora si scopra di non aver messo in atto le giuste strategie. Grazie a loro ho compreso l’importanza della didattica emozionale, tutto ciò che ho appreso insieme a loro, l’ho proposto poi ai miei successivi alunni come insegnante sul posto comune.
La relazione che si instaura tra un insegnante e l’allievo e tra l’insegnante e il gruppo classe è sempre una relazione “emozionale” che si costruisce attraverso l’intrecciarsi di legami di diversa natura, tutti con una radice nell’affettività.
Se l’insegnante saprà intercettare queste dinamiche affettive, interpretando e liberando le emozioni e le implicazioni sentimentali, che sono alla base di ogni rapporto, sarà in grado di riguadagnare quell’autorevolezza e quella credibilità del ruolo, che oggi sembra essere persa. Il primo atto di fiducia e di riconoscimento deve arrivare dal bambino stesso. Il riconoscimento nella relazione educativa è sempre un processo bidirezionale, dal docente all’alunno e viceversa.
Si tratta allora di superare il modello tradizionale di rapporto educativo per immaginare un nuovo modo di “stare” nella relazione.
“La relazione educativa passa anche e soprattutto attraverso il legame psicologico, personale tra due o più soggetti in gioco, disposti asimmetricamente, predefiniti da un ruolo preciso proprio in tale rapporto, ma anche posti faccia a faccia nella loro individualità, con la loro personalità e le strutture che la governano e identificano. Soggetti che sono in particolare contrassegnati, proprio nella relazione interpersonale che vivono nel proprio ruolo, dalle dinamiche affettive, le quali entrano a far parte, appunto, del ruolo, ma che vanno controllate attraverso una serie di procedure interpretative, tematizzate e tenute sotto controllo”. [31]
Accade sempre più spesso che, anziché, impegnarsi nella costruzione di una relazione autentica, i docenti preferiscano affidarsi a forme di controllo e mantenimento che, se da un lato hanno come risultato quello di ottenere silenzio e obbedienza, dall’altro aprono un abisso tra insegnante e alunni. Per sanare la frattura ogni docente è chiamato a guardare in quell’abisso, nel tentativo di risalirlo.
La parola “crisi” torna in ogni discorso intorno alla scuola, si tratta di una condizione che ormai ha perso i caratteri dell’emergenza, per diventare elemento strutturale del sistema scuola. E torna, come un mantra, la denuncia della perdita dei valori, che ormai la scuola non è più in grado di trasmettere né di insegnare. Ma si può insegnare un valore? Probabilmente sì, ma ad una condizione imprescindibile: ogni dichiarazione deve essere accompagnata e preceduta dalla testimonianza concreta e da un’esperienza attestante quel valore. L’insegnante può farlo, testimoniando con il proprio comportamento la sua adesione ai valori significativi, “quale che ne sia la giustificazione teorica che la sua coscienza, la sua formazione personale, le sue scelte filosofiche, politiche, religiose gli suggeriscano”. [32]
Alla grande malattia che ha colpito la scuola si deve e si può rispondere con la grande salute degli educatori, che devono diventare testimoni di ogni loro insegnamento e portatori di una cultura della responsabilità personale che non può essere ignorata, da chi sceglie di diventare un educatore.
E’ fondamentale riconoscere che i più giovani hanno bisogno di essere guidati nella riscoperta di ciò che costituisce il loro essere più profondo, vale a dire il loro “sentire”; attraverso la liberazione delle proprie emozioni, potranno esperire sentimenti positivi, nei quali si radica ogni forma di valore.
La scuola non può considerarsi territorio neutrale, ma ha sempre un chiaro compito assiologico, dal quale non può sottrarsi, perché senza una propria autonomia propositiva, la scuola non solo non inciderebbe sugli stili di vita in direzione dell’autenticità, creatività, responsabilità e solidarietà, ma finirebbe con farsi “specchio” del sistema di “valori” che le vengono dall’esterno: superficialità, imprecisione, raggiro, ipocrisia, calcolo compromissorio e gregarismo. [33]
La scuola, oggi, deve farsi promotrice di quei valori centrati sulla persona, che sembrano essere stati dimenticati, essa deve trasformarsi in un luogo dove l’alunno può prendere consapevolezza delle proprie emozioni, riuscendo a liberarle per metter in pratica i veri valori dell’umanità. Questo scopo può essere perseguito solo attraverso l’esempio concreto degli educatori, perché nessun bambino potrà credere nella solidarietà se il suo maestro ne tradisce il significato con le sue azioni. Non si potrà invitare un bambino a essere gentile con un compagno, se lo stesso insegnante non ha cortesia nel trattare non solo con gli alunni, ma con ogni altro essere vivente.
E’ certamente un impegno per l’educatore, ma non c’è altro modo di immaginare l’insegnamento se non come pratica quotidiana tesa ad attestare tutto ciò di cui si fa promotore.
Il punto di partenza è il rispetto, sentimento alla base di ogni relazione, ma nel caso della relazione educativa, diventa di importanza prioritaria. Non può esserci alcun insegnamento laddove manchi il rispetto, in quanto è il sentimento della dignità delle persone come tali. Attraverso il rispetto mi apro all’altro e divento consapevole di essere un individuo che si muove tra altre persone, e che può prendere parte alla realtà. Il rispetto mi consente di instaurare una relazione educativa, basata sulla fiducia e sulla credibilità. Insegnare rispetto significa innanzitutto mostrare rispetto per la persona che si ha di fronte, per il bambino come per il collega. L’attenzione, la cura e il riguardo sono atteggiamenti che mi predispongono all’incontro con l’altro e sono alla base di una comunità, che vuole essere democratica, dove ognuno è riconosciuto nella propria dignità di persona e a ciascuno è data libertà di espressione.
Le emozioni nella formazione giocano un ruolo importante e concorrono a rendere l’apprendimento più profondo, più consapevole e più significativo. Dato che le emozioni entrano in gioco, volenti o nolenti, in maniera automatica e spontanea, ciò impone ai professionisti della formazione di acquisirne consapevolezza, allo scopo di avviare un percorso adeguato di preparazione, che permetta loro di conoscere e gestire le emozioni.
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NOTE
[1] R. J. Sternberg, Teorie dell’intelligenza: una teoria tripolare dell’intelligenza umana, Milano, Bompiani, 1987.
[2] Binet, A., & Simon T., The development of the Binet-Simon Scale, 1984, pp. 1905-1908. In W. Dennis (Ed.), Readings in the history of psychology , pp. 412–424.
[3] H. Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità della intelligenza, Milano, Feltrinelli, 1985, p. 260.
[4] P. Salovey, J. Mayer, «Emotional Intelligence», in Immagination, Cognition and Personality, n°9, 1990, pag. 189.
[5] Peter Salovey and David J. Sluyter (a cura di) “Emotional development and Emotional Intelligence: educational implications” New York, 1997 pag. 5.
[6] Come risulta dalla descrizione degli obiettivi di “Six Seconds Italia”, associazione no profit costituita nel 2003 come sede italiana di “Six Seconds International”, per supportare la crescita del dibattito sull’Intelligenza Emotiva.
[7] G. Goleman, Lavorare con l’intelligenza emotiva. Come inventare un nuovo rapporto con il lavoro, Bur Rizzoli, Milano, 1998
[8] M.G. Riva, Il lavoro pedagogico come ricerca dei significati e ascolto delle emozioni, Guerini Scientifica, Milano 2004, p. 160.
[9] M. Di Pietro, L’educazione razionale-emotiva: dalla teoria alla pratica, in L. Tuffanelli, Intelligenze, emozioni e apprendimenti. Le diversità nell’interazione formativa (1999), Edizioni Erickson, Trento 2004, p. 173.
[10] L. Rosati, Didattica della Cultura e Cultura della Didattica, Morlacchi Editore, Perugia 2004, p. 17.
[11] Ibidem, p. 10.
[12] Ibidem, pp. 9-10.
[13] Ibidem, p. 21.
[14] Ibidem, p. 169.
[15] P.G. Reggio, L’esperienza che educa, Edizioni Unicopli, Milano 2003, p. 148, citato da R.D Di Nubila in Saper fare formazione, Pensa Multimedia, Lecce 2015, p. 66.
[16] R.D Di Nubila in Saper fare formazione, Pensa Multimedia, Lecce 2015, p. 66.
[17] J. Mezirow (1991), Apprendimento e trasformazione, Raffaello Cortina Editore, Milano 2003.
[18] M. Baldacci, I profili emozionali dei modelli didattici. Come integrare istruzione e affettività, Franco Angeli, Milano 2009, p. 8.
[19] Ibidem, p. 9.
[20] http://www.eccellere.com/public/rubriche/formazione/elearning_formazione-114.asp
[21] Figura docente e didattica emozionale, in: http//www.paginamaieutica.blogscuola.it/? p.28
[22]http://www.istitutofiore.altervista.org/xmedia_composizioni_poetiche_multimediali_
[23]http://www.ap.ilquotidiano.it/articoli/2006/04/5/54353/a-villa-belsito-fine-settimana-di-poesia
[24] M. Prete, Il sentiero del cuore. Verso la consapevolezza di sé, Ad Maiora [, 2014
[25] P. Gambini, Introduzione alla psicologia, Milano, Franco Angeli,2008, p. 167
[26] D. Goleman, Emotional Intelligence, 1995 (Trad. It. Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, Milano, Rizzoli, 1996.)
[27] Per “Analfabetismo Emozionale” si intende la mancanza di consapevolezza e quindi di controllo e di gestione delle proprie emozioni e dei comportamenti ad esse connessi, la mancanza di consapevolezza delle ragioni per le quali ci si sente in un certo modo, l’incapacità di relazionarsi con le emozioni altrui, non riconosciute e non rispettate e con i comportamenti che da esse scaturiscono (in C. Lo Presti, B, Quadernucci, L’allenamento emotivo per i nostri bambini, Perugina, Era Nuova, 2004, p.24)
[28] Bollettino OMS “Skills for life”, n. 1, 1992, in P. Marmocchi, C. Dall’Aglio, M. Zannini (2004), Educare le life skills, Trento: Erickson, pp. 17-18.
[29] D. Goleman e P. Senge, The Triple focus: a new approach to education. More that sound, 2014. (Trad it. A scuola di futuro. Manifesto per una nuova educazione, Milano Rizzoli Etas, 2016)
[30] D. Goleman, Emotional Intelligence, 1995, op.cit.
[31] F. Cambi, Mente e affetti dell’educazione contemporanea, Roma, Armando, 1996 p. 124
[32] C. Laneve, Elementi di didattica generale, Roma, La Scuola, 2006, pag.120
[33] C. Laneve, Elementi di didattica generale, op. cit., pag. 197-198