Antropologia teatrale come esperienza transculturale
Nell’epoca del “Villaggio globale” e di “Internet” le lingue e le menti vengono manipolate su grande scala secondo una strategia globale di “ipnotico consumismo”, che per questioni di marketing promuove l’appiattimento delle differenze e dei valori tradizionali.
Ciononostante negli ultimi anni si è sviluppata, un po’ in tutto il mondo occidentale, una sperimentazione che ha favorito l’incontro tra diverse culture tradizionali, soprattutto in campo musicale, teatrale e artistico. Tutto ciò viene generalmente considerato dall’ “industria culturale” e dalle amministrazioni pubbliche quasi solo come un canale alternativo di intrattenimento e spettacolo. Invece questo scambio attivo transculturale è molto importante per la collettività ed anche per la formazione dell’essere umano a livello individuale. Infatti, l’obiettivo delle arti della vita delle diverse antiche culture è quello di coltivare e di curare la vita interiore e collettiva dell’essere umano. Dunque lo scambio transculturale va ben oltre la dimensione dello spettacolo, esso andrebbe più attentamente valutato in quanto può offrire contributi assai significativi per l’evoluzione delle concezioni e delle pratiche artistico-culturali, ma anche di quelle pedagogiche e terapeutiche. Ciò può avvenire (ed avviene) attraverso seminari, incontri e lavori di gruppo, per mezzo dei quali si esperiscono tecniche, forme, contenuti e simboli che provengono dalle diverse culture d’origine, ed anche dalla nostra stessa tradizione. Attraverso questa via delle tradizioni è possibile entrare in contatto con l’energia dell’ “archetipo”, ovvero con l’origine comune, primordiale, dell’anima mundi. Questa origine non è una remota “archeologia culturale”, ma è un fenomeno energetico che è sempre presente, in quanto radice viva della vita stessa dell’essere umano. Ricordiamo che secondo C.G. Jung gli “archetipi” presiedono da sempre alla psiche umana, e costituiscono i “formanti” dell’ “inconscio collettivo”.
Queste tematiche evidenziano che vi è un trait-d’union antropologico tra i mondi della sperimentazione teatrale, della psichiatria transculturale e della ricerca spirituale (si pensi agli importanti studi di E. De Martino). Inoltre, come ha evidenziato U. Galimberti vi è un filone di ricerca “psico-antropologica” che consente di individuare corrispondenze tra la “psicologia analitica di Jung e le rappresentazioni collettive di Lévy-Bruhl”.
Dice Galimberti:
“Questo filone di ricerca vuole individuare nella vita dei primitivi simboli e archetipi, intesi come modelli originari della psiche, in cui sono reperibili le forme della sua evoluzione. Sede di questi modelli è, per Jung, l’inconscio collettivo dove è “la storia non scritta dell’uomo da tempi immemorabili” […]. Rendersene conto è necessario non solo per conservare i tesori incomparabili della nostra civiltà, ma per aprirsi una nuova via ad antiche verità che, per la stranezza del loro simbolismo, sono perdute per la nostra ragione1″.
Dunque, sebbene le tradizioni siano estremamente differenziate, esse, nei loro riti, miti, racconti esprimono fondamenti archetipici comuni, poiché tutte queste espressioni nascono dal profondo della natura istintuale e spirituale dell’anima umana, che ha una sua essenza indipendente da ogni variabile culturale. Avere la possibilità di lasciarsi toccare da esperienze artistico-culturali che risvegliano in ciascuno la coscienza di essere partecipi di un senso universale e “superiore”, può aiutare molto l’individuo e l’umanità intera. Per questo motivo ultimo, di rinascita e di armonizzazione, in tutte le antiche tradizioni sono state create danze, canti, poemi, immagini, riti. In un’epoca come la nostra, di high-tec e di supremazia dei valori scientifici e consumistici, è necessario rendersi conto che l’essere umano, se vuole davvero servirsi nel bene delle sue invenzioni e scoperte, deve vigilare sui tesori della saggezza tradizionale, affinché non vengano perduti per sempre i suoi propri valori vitali, i suoi misteri, le sue vibrazioni più fini, che nessuna macchina o scienza potrà mai esaustivamente analizzare o simulare in profondità.
Quindi, in questo breve articolo vorrei sottolineare che esistono campi di ricerca e di esperienza attiva in cui la questione transculturale non è solo un discorso scientifico-culturale o uno spettacolo, ma una pratica concreta per coltivare le arti della vita. Una possibilità di sperimentare tali arti è l’ “antropologia teatrale”, di cui qui di seguito forniamo alcuni cenni ed anche, in conclusione, un breve indirizzario di centri e associazioni che ne organizzano e ne favoriscono la sperimentazione.
Antropologia teatrale per esperire le tecniche del corpo e dell’ anima
L’antropologia, come si sa, studia l’essere umano in funzione dei fenomeni culturali originari, tra cui anche il teatro, e quindi le sue diverse concezioni, forme e modalità. Ma l'”antropologia teatrale”2 nel senso che le ha conferito E. Barba, non è ‘antropologia del teatro?, quanto una metodologia empirica di ricerca e di sperimentazione attiva sul “comportamento fisiologico e socioculturale dell’uomo in una situazione di rappresentazione”.
A livello di ricerca l’antropologia teatrale consente un mantenimento ‘in vitro? di pratiche psicocorporee ed espressive che si stanno perdendo perché non possono essere più tramandate secondo le regole del passato. Si tratta di pratiche che non possono essere solo narrate e descritte poiché esse costituiscono forme di esperienza e di conoscenza dell’energia vivente. A livello formativo l’antropologia teatrale necessità di un piano di ricerca, cioè di ricercatori/performer che abbiano acquisito un elevato grado di preparazione e che possano dunque svolgere funzioni di insegnamento e di guida. In tal senso, elementi di antropologia teatrale possono costituire esperienze e training formativi per operatori dell’ educazione, per terapeuti, artisti e quindi anche per gli allievi (con applicazioni specifiche che possono riguardare anche i bambini e gli adolescenti).
L’antropologia teatrale è dunque anche un modo per riscoprire, divulgare e valorizzare, il patrimonio mitico-culturale rappresentato dai riti e dai miti delle diverse culture d?origine. I grandi del teatro contemporaneo del secondo novecento – Brook, Barba, Grotowski (recentemente scomparso) – hanno elaborato una importantissima ricerca pratico-teorica sulle “tecniche del corpo”, dando così l’avvio anche all’investigazione attiva nel campo dell’antropologia teatrale. L’espressione “tecniche del corpo” è stata ripresa da M. Mauss che in un saggio del 19363 l’aveva coniata per indicare l’utilizzo del corpo come primo oggetto tecnico dell’essere umano, sia nelle attività quotidiane e sia in quelle extra-quotidiane, nell’ambito delle arti marziali e delle pratiche magico-sacrali.
L’antropologia teatrale ricerca come queste tecniche extra-quotidiane possono essere rielaborate nella costruzione di un training attoriale ed artistico.
Le attività del training , come ha spiegato E. Barba, possono essere considerate di due tipi (anche se in effetti sono fortemente integrate le une alle altre): attività pre-espressive ed attività espressive4.
Si tratta di attività basate su tecniche psicocorporee, quindi su tecniche del corpo e dell’anima, che contribuiscono allo sviluppo di una più raffinata sensibilità e di precise abilità nell’azione, nell’uso della voce, nella concentrazione e nella percezione. In tal senso le attività pre-espressive
sono preparatorie della espressione e possono quindi essere considerate nel senso di una propedeutica formativa.
Le attività di tipo espressivo invece, mirano ad una partecipazione e ad una incentivazione delle potenzialità artistiche individuali e di gruppo. Ciò avviene attraverso azioni performative: danza, canto, poesia, narrazione vocale e gestuale, drammatizzazione, utilizzo di materiali plastici e figurativi, strumenti musicali (quasi mai elettronici) ed elementi naturali (ad esempio l’acqua, il fuoco, la terra e i suoi frutti).
Sia nelle attività pre-espressive che in quelle espressive, la parola e il gesto convenzionali, sono utilizzati al minimo, e quasi solo per necessità pratico -organizzative, la “chiacchiera” lascia il posto al silenzio. Un silenzio che è innanzitutto interiore, poiché solo quando la mente si acquieta in seguito alle speciali attività pre-espressive che comportano presenza, attenzione, disciplina, vi può essere una “vera” concentrazione, nel senso che la mente diviene come il “centro stabile da cui muove l’azione”. Per quanto mi riguarda ho sperimentato ciò che qui sto cercando di esporre a parole nell’ ambito del Parateatro5 condotto da Rena Mirecka – prima interprete femminile del Teatr Laboratorium fondato da J.Grotowski – ed Ewa Benesz – sua diretta collaboratrice per molti anni -. Il Parateatro, inizialmente ideato da Grotowski, può essere a mio avviso, una modalità di elevatissimo livello anche per esperire tecniche e tematiche dell’antropologia teatrale, purché i conduttori abbiano compiuto una grande e speciale ricerca su se stessi.
In questa particolare esperienza – in cui si sviluppano training e processi creativi che mettono alla prova l’autenticità di sé e del gruppo – anche quando un’azione fisica si sviluppa congiuntamente alla parola, questa è una parola poetica, che nasce da un testo intriso di valori ideali e spirituali, un testo scritto in un libro o che è stato ispirato da una “voce interiore”, la quale ha una sua misteriosa saggezza che supera i limiti dell’Io. Qualcosa di transpersonale parla in noi; un’entità trascendente, simile alle creature angeliche del sogno, delle leggende e dei miti misteriosi – qualcosa o qualcuno che è insieme noto e inconoscibile, che la mente, divenuta aperta e silenziosa, può ascoltare ed attivare nell’azione. Solo allora l’azione può sbocciare spontaneamente come sboccia una rosa, tutta gravida di sensibilità, di meraviglia e di amore?
E’ così che l’antropologia teatrale ci offre la possibilità di fare esperienza di noi stessi, della nostra interiorità e delle potenzialità espressive e ricettive del nostro corpo-mente, avvalendosi di insegnamenti e di tecniche provenienti dalle diverse culture d’origine. Ciò vuol dire avere la possibilità di stabilire un contatto diretto tra allievi, maestri ed esperti, affinché possano trasmettersi insegnamenti non solo con le parole, ma con l’azione, l’interazione, la verifica. Ciò vuol anche dire sperimentare su se stessi gli insegnamenti ricevuti, considerarli un dono di energia per sviluppare la propria autonomia e soggettività, e quindi per scoprire la via per diventare maestri di se stessi.
A livello socioculturale l’antropologia teatrale – intesa come pratica artistica e insieme cura di sé – cerca di ricevere e di trasformare creativamente gli stimoli e le sfide che provengono dall’intensificarsi di una dimensione transculturale della società, senza però rinunciare all’immaginazione soggettiva, al sogno e alla fantasia che provengono dal mondo interiore di ciascuno. La filosofia di fondo di questo modo di “fare antropologia” e di “fare anima”6 attraverso le arti, l’azione performativa e la ricerca su se stessi, consiste nel praticare con creatività e disciplina gli insegnamenti originari della nostra cultura e di culture differenti dalla nostra, le quali conservano valori e simboli fondamentali per il benessere dell’individuo, della società e dell’ambiente.
L’antropologia teatrale dunque può indicare ad artisti, intellettuali, pedagoghi e terapeuti, una strada attiva di conoscenza e di trasformazione, che fa tesoro degli scambi transculturali al fine di praticare con concretezza l’arte di essere umano…