Le sfide della vita

Per una nuova pedagogia della crescita personale

Viviamo in una società pluralistica e multiculturale che ha ampliato a dismisura le possibilità di scelta per i soggetti. A questo tuttavia può corrispondere un senso di spaesamento e disorientamento, per cui la missione più importante della formazione oggi è quello di esporre sì i discenti alla pluralità di voci che caratterizzano l’epoca presente, ma al tempo stesso fornire dei criteri di scelta ben precisi per operare delle scelte efficaci, risolvere i problemi pratici e soprattutto vivere in modo pieno, reale e profondo. Nell’articolo viene proposto un possibile percorso formativo di crescita personale articolato in tre parti, cioè auto-osservazione, apertura ed azione ed un esempio pratico di esso, relativo ai rapporti interpersonali.

Una scala di cristallo

Figliolo, ti dirò una cosa:

la mia vita non è stata una scala di cristallo.

Ha avuto chiodi,

e schegge,

e tavole sconnesse,

e tratti senza tappeto:

nudi.

Ma sempre

continuavo a salire,

raggiungendo un pianerottolo,

svoltavo un angolo,

e certe volte entravo nel buio

dove non c’era luce.

Perciò, figliolo, non tornare indietro.

Non fermarti sugli scalini

perché ti è faticoso andare.

Non cadere, adesso:

perché io continuo ancora, amore,

ancora mi arrampico,

la vita per me non è stata una scala di cristallo.

Langston Hughes

Ogni giorno ci ritroviamo a fronteggiare varie sfide in famiglia o al lavoro: situazioni che mettono alla prova la nostra capacità di risolvere problemi, gestire conflitti, prendere decisioni efficaci, o ci interrogano su chi siamo e qual è il significato della nostra esistenza.

Vivere significa almeno in parte essere-sfidati-nel-mondo: la realtà esterna ed interna ci pongono domande, problemi, sfide, a volte semplici, altre volte complesse. E siamo tenuti a rispondervi in qualche modo. Certo, potremmo anche non accettare le sfide o evitarle quanto più possibile. Tuttavia, una sfida è tale in quanto implica necessariamente una reazione da parte nostra, una qualche decisione. Ed anche quando decidiamo di non affrontare la sfida, abbiamo comunque deciso. La dimensione della sfida fa parte della natura dell’uomo in quanto tale – al di là di luoghi o epoche storiche. Ogni cultura umana ha infatti dovuto affrontare, affronta e continuerà ad affrontare sfide.

A questo carattere di universalità della sfida si associa, nella società attuale, un accrescimento come mai si era visto prima delle libertà individuali e delle possibilità di vita. E’ oggi possibile condurre stili di vita (es. convivenza invece che matrimonio), acquistare prodotti, realizzare viaggi, connettersi all’istante con persone dall’altro lato del globo, come mai era stato possibile in passato. Siamo di fronte ad un’abbondanza di scelte da compiere ed i valori tradizionali, che ci avevano guidato finora, non sono più in grado di farlo oggi, soprattutto in una società pluralista e multiculturale come la nostra.

Ora, questa accresciuta presenza di opzioni e possibilità di scelte sembra molto attraente: a chi infatti piacerebbe avere meno scelte di quelle che ha? Tuttavia, alcuni analisti sociali hanno cominciato a riflettere sul “lato oscuro” di questa situazione. Tra questi, in particolare, Barry Schwartz (2004), il quale ha giustamente osservato che questa choice overload (sovraccarico da scelte) ha dei costi inattesi. Schwartz sostiene che l’incremento delle possibilità di scelta ci porta a commettere più errori, a rimuginare di più sulle nostre scelte e a pentircene, minando in tal modo il nostro livello di felicità e contribuendo alla depressione. In linea con quest’analisi, diversi studi hanno in effetti dimostrato che l’incidenza dei disturbi depressivi è aumentata negli ultimi cinquant’anni (Kessler, 2002), e questo è avvenuto anche per i livelli d’ansia (Twenge, 2000).  E’ difficile stabilire se il sovraccarico da scelte sia il principale responsabile di queste tendenze, ma è chiaro per lo meno che esso non ha certamente contribuito ad una maggiore tranquillità o salute mentale.

Quindi, da un lato siamo costretti a scegliere un certo percorso di vita, dall’altro la società ci offre un’abbondanza perfino eccessiva di scelte, per cui rischiamo il disorientamento. Come affrontare questo paradosso? La formazione ha un ruolo in tutto ciò? Se sì, quale?

Verso un pluralismo critico

Non credo che l’abbondanza di scelte ed il pluralismo della nostra cultura siano necessariamente un male. Dipende molto dal modo in cui li percepiamo e li affrontiamo. E’ un po’ come il fuoco: ci possiamo certo bruciare, ma lo possiamo anche usare per riscaldarci in una fredda notte d’inverno. La situazione umana e sociale che viviamo quindi non è di per sé negativa. Il compito di dimostrarcelo ce l’ha appunto la formazione, che dovrebbe, da un alto aprirci alla pluralità di voci presente sempre più nel nostro mondo; dall’altro, però, fornirci dei criteri di scelta ben precisi, in modo da affrontare al meglio le sfide quotidiane ed in genere vivere in modo pieno, profondo e reale. Da ciò deriva la sua vera missione – quella appunto di promuovere nei partecipanti un pluralismo critico.

Se accettiamo questa premessa, allora vuol dire che i percorsi formativi sulla crescita personale devono rendere il partecipante consapevole della relatività dei vari punti di vista sul mondo e soprattutto sul vivere bene e al tempo stesso fornirgli dei metodi ben precisi per operare delle scelte consapevoli e di valore in quanto capaci di arricchire la sua vita e quella degli altri.

Possiamo quindi immaginare un percorso in tre parti, quelle che chiamo le tre “A” della crescita personale, e cioè auto-osservazione, apertura ed azione. Se paragoniamo la formazione ad un viaggio,  sono le tre fasi della partenza, della visita e del ritorno a casa.

Partire

La prima fase del processo di crescita, inteso come cambiamento del nostro modo abituale di fare, sentire o pensare, non può che essere quella dell’auto-osservazione. Già Socrate aveva intuito che solo conoscendo noi stessi potremo sapere come prenderci cura di noi. Il primo passo del nostro viaggio di evoluzione interiore consiste nel chiederci: da dove partiamo? qual è la conoscenza che attualmente abbiamo di noi? quali sono le premesse a partire dalle quali viviamo? Un buon modo per rispondere a queste domande consiste nell’’esplorare i nostri schemi e concezioni di vita (Lahav, 2010).

Per schema intendo la nostra tendenza a comportarci, sentire e pensare in modi prestabiliti. Sebbena una buona parte dei nostri schemi sia utile a vivere (es. fare ogni giorno una buona colazione o tenere pulita la casa), altri schemi invece possono essere limitanti, nel senso che creano problemi a noi stessi o agli altri, oppure ci impediscono di vivere appieno. Un esempio di schema limitante è dato dalla persona che cerca ogni occasione per polemizzare con qualcuno.

La concezione, invece, esprime l’idea implicita che sta dietro uno schema. Riferendoci all’esempio di  chi cerca ogni occasione per polemizzare, la concezione che c’è dietro potrebbe essere: “I miei rapporti con gli altri hanno significato solo se contengono duelli verbali”. La concezione mostra quindi la filosofia vissuta dal soggetto, non quella che dichiara magari a parole, ma quella che si esprime di fatto nei suoi comportamenti ed attitudini verso il mondo. Da questo punto di vista, ciascuno di noi è un filosofo – anche se non sempre buono. Bisogna quindi esercitare un forte spirito critico verso la propria filosofia di vita e capire davvero se ci aiuta o meno a vivere bene.

Su questa funzione critica della formazione concorda anche Brookfield (1986). Secondo quest’autore, i programmi di formazione non dovrebbero limitarsi a soddisfare i bisogni di apprendimento identificati negli adulti, nelle organizzazioni o nelle società, ma dovrebbero aiutare i partecipanti a trasformare il loro modo di pensare su se stessi ed il proprio mondo – quello che Mezirow (1985) definisce un mutamento di prospettiva. Questo mutamento, a mio avviso, avviene già alla partenza di un percorso di formazione, quando il partecipante comincia a prendere coscienza degli schemi e delle concezioni che limitano la sua vita. Questa presa di coscienza si amplia poi nella seconda fase, quella del “viaggio formativo” vero e proprio.

In viaggio

Una volta che abbiamo imparato ad individuare i nostri limiti, cominciamo ad esplorare quello che c’è al di là del nostro abituale perimetro di vita. Iniziamo ciò a conoscere altre voci della natura umana, attraverso il confronto con le concezioni e le pratiche elaborate nel corso del tempo da filosofi, psicologi, scienziati sociali, artisti o maestri spirituali.

A seconda dei vari percorsi di crescita (ad esempio sui rapporti con gli altri, sull’etica, la libertà, il significato nella vita ecc.), alcuni esempi di voci della natura umana possono essere: la concezione del filosofo indiano Krishnamurti sui rapporti con gli altri; o il modello di felicità sostenibile elaborato da psicologi positivi; o il pensiero cristiano o del Buddha sul tema del perdono; o ancora l’idea di libertà positiva e negativa in Isahia Berlin; o le riflessioni di Ghandi sull’arte del vivere, e molti altri ancora. Si tratta – come si può notare – di pensatori appartenenti a mondi culturali ed epoche anche molto diverse dalla nostra, ma che hanno il potere di farci prendere coscienza delle voci sopite dentro di noi, di parti cioè della nostra anima che normalmente non entrano in gioco nella nostra vita quotidiana e che invece, se venissero attivate, ci permetterebbero non solo di risolvere problemi pratici, ma anche di vivere in modo più pieno.

Il confronto con queste voci non implica aderire ad esse. Non si tratta di convertirsi al pensiero del tale o talaltro autore, psicologo o scienziato: si tratta invece di accostare per almeno un po’ di tempo il suo pensiero al nostro, meditando profondamente sul suo significato e cercando di intuire cosa ci può suggerire, in che modo è simile o dissimile dal nostro modo abituale di vivere e ci può eventualmente arricchire.

Se ad esempio sono una persona che sente il costante bisogno di stare in compagnia e medito su un passo di Schopenhauer (1993) che tesse l’elogio della solitudine, posso essere anche infastidito dalla sua “teoria”, ma forse, proprio per questo ha qualcosa da insegnarmi: sono infatti indotto a prendere coscienza del fatto che anche la solitudine può avere un valore. E, se do voce a quest’intuizione, è probabile che magari riesca a rapportami al mondo in modo diverso, non “usando” gli altri per fuggire dall’angoscia dell’isolamento, ma riconoscendo che anche il “vuoto” apparente della solitudine, può essere un “pieno”.

Se, all’opposto, tendo a rifuggire dai rapporti interpersonali, posso utilizzare strumenti come la Finestra di Johari per aprirmi gradualmente agli altri o conoscermi meglio grazie a loro.

Ogni percorso tematico (es. comunicazione o etica) prevede il confronto quindi con il pensiero di vari autori – non necessariamente in accordo l’uno con l’altro, anzi spesso in opposizione. Questo riflette quello che già avviene nella nostra società pluralistica e multiculturale, ed ha l’obiettivo di indurre nel partecipante una sorta di disorientamento creativo, nei confronti del quale è chiamato ad elaborare una risposta personale, giungendo, tramite varie tecniche formative, ad una sua idea viva, cioè ad una verità soggettiva che è in grado di coinvolgere il suo intero essere ed ispirare un progetto di vita autentico, caratterizzato sì da libertà di scelta ma anche da una forte responsabilità morale. Delle sue scelte dovrà infatti rispondere a se stesso, agli altri e, se è credente, a Dio.

Tornare a casa

Una volta esplorate varie “voci” della natura umana, è tempo di preparare la strada del ritorno. Non si è trattato infatti solo, nella fase numero due, di leggere dei testi o praticare tecniche psicologiche, ma più in generale di far vivere dentro di noi, per almeno qualche giorno, le idee cui siamo stati esposti. Questo ci ha permesso di cogliere altri nostri schemi e concezioni limitanti, proseguendo in tal modo la fase uno, ed in più ci ha mostrato anche la relatività dei vari punti di vista, tutti a loro modo validi, ma parziali.

Ora però è venuto il tempo di “tornare a casa”. Se però il turismo classico rappresenta solo una sorta di evasione rispetto alla rutine quotidiana, il viaggio formativo si caratterizza invece per l’impatto che il percorso compiuto ha sulla nostra vita quotidiana, altrimenti si è solo trattato di una parentesi esotica, affascinante, ma senza lasciare alcun segno sulla nostra vita.

Per “tornare”  a casa è necessario che riflettiamo sul viaggio compiuto e decidiamo se ed in che modo cambiare il nostro modo abituale di pensare, sentire, fare.

Per facilitare questo processo ho ideato due tecniche: la prima, detta azione regolativa, si rifà alla dottrina aristotelica del giusto mezzo, secondo cui è necessario rifuggire dagli eccessi sia pericolosi che quelli verso cui tendiamo in genere: in questo modo lavoriamo sugli schemi che abbiamo individuato come limitanti; nella fase di azione integrativa, invece, andiamo oltre gli schemi stessi, aprendoci, tramite l’esperienza delle varie voci relativa alla fase precedente, a modi alternativi di pensare, sentire o agire.

Considerando ad esempio lo schema della persona che cerca ogni occasione per polemizzare con gli altri: compiere un’azione regolativa significa capire quando è appropriato polemizzare e quando no e comportarsi di conseguenza; realizzare un’azione integrativa significa invece entrare in contatto con gli altri al di là della polemica, cioè ad esempio nel gioco, nell’intimità o in discussioni su temi profondi. Questo “mutamento di prospettiva” – cui si arriva tramite l’intuizione, l’azione e la riflessione – permette di risolvere vari problemi interpersonali ed arricchire la nostra vita, andando oltre le forme rigide che spesso ne limitano la forza e lo slancio.

Un esempio di percorso: noi e gli altri

In genere, i percorsi di crescita che realizzo prevedono otto incontri dedicati ad un tema specifico, ad esempio i rapporti interpersonali, realizzati a cadenza settimanale.

Nel primo incontro, aiuto i partecipanti, tramite esercizi introspettivi ed interattivi, a prendere coscienza degli schemi e concezioni che limitano la loro capacità di incontrare davvero gli altri.

Gli incontri che vanno dal secondo al settimo, invece, approfondiscono ciascuno una teoria o una pratica diversa che riguarda le relazioni interpersonali. Alcuni esempi potrebbero essere:

La concezione shopenhaueriana della solitudine
La Finestra di Johari per favorire la condivisione e la scoperta di sé
L’idea dell’incontro diretto in Krishnamurti
Esercizi sui messaggi-io di Julia Wood
Il principio dialogico di Martin Buber
L’empatia di Marshall Rosenberg

L’ultima settimana viene dedicata invece ad una riflessione conclusiva sul percorso compiuto e all’elaborazione di un progetto di sviluppo personale basato su azioni sia regolative che integrative.

Coda

In quest’articolo ho cercato di mostrare come oggi la formazione debba confrontarsi con una difficoltà  nuova, tipica della nostra epoca: da un lato, la necessità, per vivere bene, di affrontare le sfide che la vita continuamente ci pone; dall’altro il moltiplicarsi delle prospettive, scelte e possibilità di vita che non sempre è un vantaggio in quanto ci può disorientare.

Compito degli educatori è quindi quello di progettare e condurre percorsi di crescita al passo coi tempi, che cioè espongano il partecipante ad una pluralità di voci della natura umana, fornendogli però dei precisi criteri per operare delle scelte efficaci, risolvere i problemi pratici e soprattutto vivere in modo pieno, reale e profondo.

Non ci sono infatti risposte pre-costituite ai problemi dell’esistenza, ma solo dei possibili itinerari da percorrere alla ricerca della nostra vera umanità. Senza mai pretendere di essere “arrivati” in alcun luogo, ma provando meraviglia e gratitudine per il viaggio compiuto.

E magari tornando a casa un po’ più saggi.

Bibliografia

Brookfield S.D. (1986) Developing Critical Thinkers, Jossey-Bass

Kessler  R. C. (2002) Epidemiology of depression. In I.H. Gotlib & C.L. Hammen (Eds.) Handbook of depression, New York, Guilford.

Lahav (2010) Oltre la filosofia, Apogeo

Mezirow (1985) A Critical Theory of Adult Learning and Education, in Adult Education, 1981, 32 (1)

Schwartz B. (2004) The Paradox of Choice: Why More is Less, Ecco

Shopenhauer A. (1993) Aforismi per una vita saggia, Bur

Twenge J.M. (2000) The Age of Anxiety? Birth Cohort Change in Anxiety and Neuroticism, 1952-1993. Journal of Personality and Social Psychology, 79 (6)