Editoriale – Intercultura e identità culturali

Visionari, bisogna essere visionari per potersi approcciare ad un tema come quello indicato nel nostro Dossier invernale.

Intanto, fin da subito, le identità culturali e l’intercultura ci pongono un interrogativo: chi siamo noi? chi è l’altro?  La qual cosa presume che, almeno ad un certo livello, ci conosciamo… o crediamo di conoscerci.

Ma da sempre, occorre un certo coraggio per andare in controtendenza, per scrollarsi di dosso tutti gli stereotipi legati alle paure che l’altro con la sua presenza e la sua diversità ci “impone”, e le politiche europee sempre più complesse non ci aiutano a prendere una direzione capace di essere efficace e giusta. Giusta per noi, giusta per loro, i migranti, e per tutti gli stranieri che si sono trovati a transitare sul nostro territorio, sparsi di qua e di là, polverizzati in alcuni casi in “non luoghi “, destinati all’oblio.

Ancora oggi, dopo tre quarti di secolo dalla seconda guerra mondiale scopriamo che la memoria è evaporata, che tutti i propositi per andare incontro all’altro, al ricollocamento dei migranti sono di fatto considerati fuori dal tempo. Dice Marco Revelli, in una bella intervista di poco tempo fa che l’Italia è un Paese che si allontana da sé stessa, ma sgretolare l’identità dell’altro significa sgretolare anche la propria! E del resto non vi è alcun dubbio che i sovranismi dei Paesi europei, e non solo, sono all’attacco diffondendo insicurezze, paure, diciamolo: odio.

Tutto, in campo sociale e politico ci porta a dire che stiamo prendendo una brutta china, che si vuole mescolare il male e la paura per costruire una bomba emotiva che ci attanaglia e non ci fa vedere qual è, effettivamente, la cifra del problema con il quale ci stiamo confrontando. Spesso proprio di fronte ai drammi che si consumano nel nostro mare facciamo fatica a non sottrarci alla tentazione di girarci dall’altra parte…

E, però, non si può fare finta di niente e non riflettere sulla posizione dell’Inghilterra che sta difendendo sempre più restrittivamente i propri confini: se, il piano Jhonson della Brexit va in porto, tutti i cittadini e le cittadine dell’Unione Europea dovranno munirsi di passaporto e documento di registrazione per potersi recare in Inghilterra…. Cioè si torna indietro…

Così, la parola meticciamento che un tempo faceva capolino quando si parlava di intercultura e identità culturali, viene timidamente sussurrata… e perlopiù ricacciata indietro… investita solo di accezioni negative.

Ma grazie al cielo non è tutto così buio e malvagio. Nuovi movimenti giovanili, ancora incerti, ma abbastanza testardi – almeno si spera- stanno aprendo brecce per riportare la questione alla sua giusta dimensione. Finalmente i giovani, si mettono “in mezzo, sia sul piano ambientale che su quello più squisitamente politico, un mondo loro che contrasta i sovranismi ai quali le destre italiane cercano di intrappolarli; infatti i movimenti giovanili come quello di Greta, delle Sardine, ecc., si mescolano nelle piazze per dire no. E ci spingono a pensare con fiducia anche alle testimonianze di buone prassi e alle metodologie realmente inclusive che praticano quotidianamente mediatori culturali, educatori e insegnati nelle scuole e nei servizi, dove la persona viene prima dell’omologazione e la conoscenza prima del pregiudizio.

È possibile accarezzare l’idea che l’era dell’utopia non è ancora tramontata?

Questo dossier con contributi che provengono da diversi luoghi e contesti ci dà dei feedback in merito a questi quesiti: nei luoghi del sapere, nei contesti educativi, fuori nei giardini e nei parchi dei nostri paesi e delle nostre città. In tempi così difficili, è ancora pensabile poter rimanere umani, ribaltare la narrazione mainstream che viene fatta della migrazione da parte dei mezzi di comunicazione e reinventarsi ancora una volta un modo pacifico di stare al mondo?