Ogni alunno è speciale (intervista a don Stefano Mascazzini)

A cura di PAOLA NAVOTTI
La genialità del metodo salesiano riguarda anche l’attenzione ai bisogni educativi speciali. Intervista a don Stefano Mascazzini, dal 2021 Presidente nazionale del settore scuola del CNOS (Centro Nazionale Opere Salesiane). Per i precedenti 22 anni è stato preside della scuola secondaria di primo grado delle case salesiane di Brescia, Milano, Chiari e Sesto San Giovanni. Classe 1969, ordinato sacerdote nel 1999, baccalaureato in Filosofia e Teologia presso l’Università Pontificia Salesiana, poi laureato in Lettere moderne presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.


Quella salesiana è una grande tradizione educativa che, iniziata nel 1846, conta 47 istituti scolastici in Italia e 62 centri di formazione professionale in 134 paesi nel mondo.
Quanti studenti ci sono oggi nelle scuole salesiane italiane? Quanti insegnanti?
Negli istituti salesiani italiani ci sono attualmente 144 livelli scolastici, con un totale di 24.000 studenti: 385 alunni frequentanti la scuola dell’infanzia, 3.005 la primaria, 8.990 la secondaria di 1° grado, 11.531 la secondaria di 2° grado. Gli insegnanti sono 2.986: 2.731 laici; 251 religiosi. Si tratta in effetti di numeri impegnativi.


Nelle scuole salesiane italiane, qual è la percentuale degli studenti diagnosticati BES?
Circa il 12%. Ad oggi abbiamo 3.038 studenti con bisogni educativi speciali, la maggior parte dei quali frequenta l’istruzione secondaria, di primo e secondo grado. Di tutti questi ragazzi: 2.350 hanno la certificazione DSA[1]; 298 quella legata alla Legge 104 del 1992, che dà diritto all’insegnante di sostegno. 390 non hanno una certificazione ufficiale, eppure – per svariate difficoltà economiche e familiari – il collegio docenti ritiene di accompagnarli con una didattica personalizzata. Sottolineo quest’ultimo dato per dire che, in base alla nostra esperienza, i bisogni educativi speciali sono, appunto, un bisogno. Da non sottovalutare.
All’inizio della secondaria di primo grado, quando certe difficoltà cominciano ad emergere in modo evidente, ci si accorge che spesso le famiglie minimizzano le segnalazioni ricevute alla primaria: forse per paura che i propri figli non siano adeguatamente accolti, o siano discriminati; forse, più in generale, per una certa difficoltà ad accettare la diversità.


Nelle vostre scuole, che grado di istruzione maggiormente frequentano gli studenti con bisogni educativi speciali?
Il 57% del totale dei nostri studenti opta per il liceo, ma la maggior parte dei ragazzi BES sceglie le scuole professionali. Io credo però che la riflessione debba concentrarsi non tanto sulla percentuale dei ragazzi BES che si iscrivono al liceo; quanto, più in generale, sul criterio di scelta di ogni studente. Quando un ragazzo, con o senza diagnosi, segue il consiglio orientativo ricevuto al termine della secondaria di 1° grado, nel primo anno delle superiori ha il 90% di successo. Per chi non segue il consiglio orientativo, la percentuale si inverte. Attualmente, nel passaggio dalle medie alle superiori, il 40% dei ragazzi non segue il consiglio orientativo.


In base alla vostra esperienza, come riflettere sul costante aumento dei disturbi specifici dell’apprendimento: si può parlare di un certo delirio diagnostico?
L’iper-attenzione di oggi su tutti questi disturbi noi la riteniamo giusta perché, senza la consapevolezza di un problema, è facile trascurarlo e, inevitabilmente, farlo peggiorare. Il delirio, a nostro avviso, non sta in un’esagerazione diagnostica, bensì nel fatto che solo la scuola sembra delegata ad aiutare questi ragazzi a compensare le proprie difficoltà. Se un ragazzo utilizza determinati strumenti dispensativi a scuola, ma non a casa; oppure se, contrariamente a quanto suggerito dagli insegnanti, la famiglia decide di farlo seguire nello studio a casa da una persona senza un’adeguata competenza: in questi ed altri esempi, è chiaro che la scuola non basta. È indispensabile un’alleanza educativa con la famiglia.
Emblematico è il caso dei licei, dove la scuola è frequentemente percepita come una specie di agenzia valutativa, più che una compagna di viaggio; e dove non sempre gli insegnanti hanno una specifica formazione sulle diagnosi BES. Così, nei docenti giovani e meno giovani, ricorre la tendenza a trattare questi ragazzi semplicemente rifacendosi a come loro stessi venivano trattati quando andavano a scuola.

Come le scuole salesiane affrontano il percorso educativo degli alunni con tali diagnosi?
Innanzitutto mettendo a disposizione un vero e proprio pool di persone. Psicologi specialisti, che seguono i genitori nel complesso iter diagnostico, aiutano gli insegnanti a comprendere i dettagli della diagnosi di ogni studente e fanno da tramite con le famiglie. Tutor personali, che supportano ogni ragazzo negli obiettivi condivisi. Coordinatori di classe, che intensificano la comunicazione tra i soggetti scolastici coinvolti e, dove necessario, anche con gli assistenti sociali. Tutte queste figure partecipano ai consigli di classe e alla stesura del PDP[2], o del PEI[3].
Inoltre, stiamo investendo tanto negli strumenti digitali che più aiutano i ragazzi con difficoltà: iPad e software particolari che consentono di realizzare formulari personalizzati, o mappe concettuali suppletive a quelle ancora cartacee che, nel migliore dei casi, offrono i libri di testo.
Infine, investiamo sempre di più sulla formazione degli insegnanti: ogni anno a settembre, organizziamo un corso di aggiornamento specifico sui BES e incontri ulteriori per i docenti di nuova nomina.
In tutto ciò le nostre rette non sono più alte per le famiglie con ragazzi in difficoltà, perché riteniamo non sia giusto che chi ha dei problemi scolastici abbia anche un aggravio economico. Considerato il contributo irrisorio che lo Stato dà alle scuole paritarie, non è cosa da poco. Se non avessimo benefattori e se non partecipassimo ad alcuni bandi di finanziamento, non ce la faremmo: non solo a seguire i ragazzi BES come sopra descritto, ma neanche ad aiutare diverse famiglie in difficoltà economica. Siamo molto contenti, da questo punto di vista, di riuscire ad esaudire il desiderio di molti di rimanere nelle nostre scuole anche alle superiori. La realtà, purtroppo, è che in Italia molte famiglie non sono libere di scegliere la scuola che vogliono.


Come un insegnante dovrebbe valutare un ragazzo, con o senza bisogni educativi speciali?
Non dimenticando di valorizzare il suo percorso di crescita e le cosiddette soft skills, quelle abilità relazionali e comportamentali che, seppur siano oggetto di una specifica legge nazionale, tuttavia non hanno ancora scalzato una mentalità valutativa per lo più sommativa. Anche questa è una causa della dispersione scolastica, fenomeno in crescita che non si riesce a misurare.


La personalizzazione delle proposte educative è sempre stata una delle genialità del metodo salesiano. Cosa implica tale personalizzazione?
Un’educazione personalizzata implica innanzitutto guardare e trattare ogni ragazzo, non solo chi ha delle difficoltà, come speciale. Ogni ragazzo è unico, ha talenti da valorizzare e, per questo, ha un suo percorso educativo che non riguarda solo il rendimento scolastico, ma l’affronto della vita intera: i desideri, le preoccupazioni, certe fragilità piscologiche. Si tratta di un accompagnamento personale curato dagli insegnanti e, in particolare, dal “consigliere”, dal “catechista” e dal “coordinatore di classe”. Queste figure sono centrali nella vita scolastica salesiana e ogni mese, con ogni studente, hanno colloqui personali finalizzati ad una vera e propria condivisione della vita: capita che visitino, a casa o in ospedale, genitori ammalati; capita anche che accompagnino fisicamente a scuola i ragazzi che non hanno più voglia di andarci. Capita così che scoprano in un ragazzo competenze del tutto inaspettate, o celate.
L’educazione è davvero un’opera infinita. Dove ho sbagliato? Cosa posso fare di più? Queste e tantissime altre domande ricorrono tra gli insegnanti, non solo nei collegi docenti, ma anche in preziosi momenti di confronto personale. Un’educazione personalizzata implica un’infinita disponibilità ad impegnare la propria vita con la vita dell’altro, anche a livello di tempo. Da tale impegno gli insegnanti testimoniano sempre un arricchimento, ma spesso si portano il lavoro a casa e, anche per questo, la gratitudine nei loro confronti è grande. Vorremmo poterli ricompensarli di più.


Come le scuole salesiane educano all’inclusione?
Mettendo l’inclusione continuamente a tema, sia nell’esperienza, che nelle parole. Alcuni esempi. Abbiamo istituito delle settimane in cui portiamo i ragazzi a contatto con persone diversamente abili, o con grosse difficoltà, facendoli confrontare anche con chi se ne prende cura. Nelle classi cerchiamo di privilegiare il lavoro a gruppi eterogenei, perché guardare come i ragazzi lavorano insieme è un’occasione formidabile per correggere atteggiamenti non accoglienti, o addirittura discriminatori. Ogni mattina scolastica da noi inizia con un momento speciale chiamato “buongiorno”: 15 minuti dedicati ad esplicitare uno spunto di riflessione che molto spesso riguarda proprio il tema dell’inclusione, della cordialità come sguardo più umano da avere verso gli altri e verso se stessi. Anche questi 15 minuti per noi sono scuola. Ma ogni nostro tentativo per educare alla dignità di tutte le diversità non può reggere il confronto con il mondo, se in casa non c’è lo stesso atteggiamento: per questo, anche alle famiglie proponiamo tanti momenti di formazione, di sensibilizzazione e di confronto su questi temi.


In questo mondo così determinato dalle performance e dalla mondanità, qual è allora il primo obiettivo educativo?
«Farli onesti cittadini e buoni cristiani»: in questa esortazione il nostro fondatore San Giovanni Bosco ha sintetizzato tutto il suo metodo educativo, che continua ad essere attuale a distanza di 135 anni dalla sua morte. Per essere degli onesti cittadini è necessario essere, prima di tutto, pienamente umani: continuamente tesi a regolare la propria condotta secondo uno spirito di universale benevolenza, di vicinanza sociale e personale; in una parola, di carità. Sarebbe davvero necessario che, a prescindere dalle sigle di appartenenza, tutti gli interlocutori civili lavorassero insieme con questo obiettivo. Noi vogliamo educare i nostri ragazzi e ragazze innanzitutto a cambiare la società in cui vivono, non a conviverci.


Chi sono per Don Bosco… gli adulti speciali?
Sono coloro che hanno a cuore la crescita umana e integrale dei ragazzi nelle nostre case, termine con cui non a caso designiamo anche gli istituti scolastici salesiani. La casa, per ciascuno, è il punto di partenza per scoprire la propria dimensione di vita, il proprio modo di essere nel mondo. Noi desideriamo che le nostre scuole siano sempre di più delle case, dei luoghi di presenza degli adulti insieme ai ragazzi. La genialità educativa per noi sta nella presenza, nel non lasciare da soli: quando in un luogo è presente un adulto, infatti, un ragazzo lo guarda e spontaneamente è portato a comportarsi meglio. Per questo, nelle nostre scuole, il cortile è un luogo pedagogico al pari delle aule. Nel cortile agli insegnanti non è chiesta sorveglianza, ma una vera e propria assistenza: stare insieme ai ragazzi, partecipare a quello che fanno – dalla ricreazione alle conversazioni, alla comunicazione sui social – e, così, non sprecare nessuna occasione di educazione e di valorizzazione. L’educazione per noi è preventiva, nel senso che la presenza dell’adulto mette un ragazzo nella condizione di poter fare del bene. Come? Cercando di dare a un giovane le ragioni di tutto e aiutarlo a capire cosa è più ragionevole fare. Ad esempio, perché per 550 ragazzi è ragionevole salire in assoluto silenzio dal cortile alle aule, dopo la ricreazione? Perché gli adulti hanno dato loro la motivazione di tale richiesta di comportamento: il silenzio aiuta a passare da un clima di svago a un clima di lavoro e, così, appunto, a lavorare meglio.
Don Bosco è partito proprio da ragione e amorevolezza, perché aveva a cuore il bene, la felicità di ogni ragazzo: nel tempo e nell’eternità.

[1] Disturbi Specifici dell’Apprendimento (dislessia, discalculia, disortografia, disgrafia) che, in base alla Legge 170/2010, danno diritto a fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi che rendano la didattica personalizzata in tutti i suoi livelli.

[2] Piano Didattico Personalizzato: strumento con cui il consiglio di classe designa un percorso inclusivo e personalizzato per gli alunni con la certificazione di disturbo specifico dell’apprendimento (dislessia, discalculia, disortografia, disgrafia); con bisogni educativi speciali anche non certificati; per situazioni di svantaggio economico, sociale e linguistico

[3] Piano Educativo Individualizzato: strumento con cui il consiglio di classe e i servizi socio sanitari competenti designano un percorso inclusivo e personalizzato per gli alunni con disabilità certificata.