Spazio delle mie brame (Giuseppe Dambrosio)

GIUSEPPE DAMBROSIO
Spazio delle mie brame (riflessioni sul potere, lo spazio e l’educazione diffusa)
Mimesis, 2023.

L’interessante libro di filosofia dell’educazione di Giuseppe Dambrosio, dall’accattivante titolo “Spazio delle mie brame. Riflessioni sul potere, lo spazio e l’educazione diffusa” uscito da pochi mesi per le Ed. Mimesis, guarda in modo critico e con un taglio interdisciplinare alla relazione tra l’elemento spaziale dell’istituzione scolastica, elemento cardine, secondo l’autore, del dispositivo disciplinare scolastico e l’organizzazione, la configurazione spaziale della città post-moderna, definita ipercittà, in cui l’edificio scolastico risulta oggigiorno inserito. Nelle pagine del saggio, di agevole lettura, emerge con evidenza il tema dello spazio-potere e del disciplinamento dei corpi – soprattutto dei minori in formazione – attraverso la rilettura critica della proposta filosofico-politica di Michel Foucault e quello della deriva securitaria e del controllo sempre più invasivo e pervasivo che negli ultimi anni ha completamente colonizzato l’ambiente scolastico, che procede di pari passo con l’esasperazione del controllo sociale, oggigiorno implementato dall’introduzione delle nuove tecnologie digitali.A fronte dell’inquietante situazione, Dambrosio propone la radicale destrutturazione dello spazio disciplinare scolastico, sulla scorta delle teorie elaborata dal filosofo dell’educazione Paolo Mottana e dell’architetto Giuseppe Campagnoli, condensate nell’idea di città educante e di educazione diffusa, lette quale miglior antidoto al superamento del disagio sociale ed educativo imperante, nonché quale argine alla deriva securitaria e al controllo sociale totalizzante nella metropoli post- moderna, che tende a delineare nuovi e minacciosi scenari distopici. Critico verso una società sempre più individualista dominata dalla cultura della produttività, della prestazione e del successo ad ogni costo, l’ autore guarda alla creazione di un soggetto etico capace di sfuggire da ogni dipendenza e asservimento, in alternativa all’homo consumens, il docile lavoratore e consumatore della post-modernità, deprivato di ogni possibile immaginario collettivo e
totalmente omologato al sistema neoliberista. Pur trattandosi di un libro di filosofia, esso non si abbandona ad una sterile speculazione teorica, ma risulta un ottimo strumento di lettura della realtà socio-politico ed educativa attuale, che rimette al centro del dibattito la questione del potere, delineando i tratti di quella che l’autore definisce una “grigia pedagogia analitico-direttiva” e soprattutto ricolloca al centro della scena educativa l’energia vitale dei bambini e dei ragazzi, i loro corpi sempre più “negati”. Corpi ancora “banchizzati” dal primo anno della scuola primaria, in aule simili a celle. Critica che mi trova ben concorde perché per esperienza personale e soprattutto professionale, lavorando da molti anni in qualità di educatrice sportiva in progetti sociali, una delle mancanze che più si avverte è la povertà di relazione che ragazzi/e hanno con la propria dimensione corporea, con il movimento, la relazione con gli altri fatta di autentico contatto fisico, rapporto sensoriale. Un tempo s’imparava essenzialmente col corpo: coi graffi, le sbucciature, le spinte, i calci e gli
abbracci. Ora si assiste ad una smaterializzazione della dimensione corporea in favore di una pericolosa inviolabilità e atomizzazione dei corpi.
E questo perché anche nelle scuole, durante i momenti che dovrebbero essere di svago (intervalli) è quasi scomparso il gioco libero. I bambini sono costantemente controllati da un adulto che stabilisce regole, che pianifica i modi e i tempi del loro stare insieme, in modo sempre più ansiogeno e asfissiante. Per i bambini il gioco è la pratica attraverso la quale meglio si relazionano con il mondo e
sperimentano le loro reali capacità e competenze, ma al gioco libero non viene dato quasi più spazio. Ne risulta così che i minori sono oggi più soli (spesso senza fratelli e sorelle con cui giocare in casa) attaccati a schermi d’ogni tipo, più maldestri nei giochi di movimento singoli e di gruppo. Incapaci di inventarsi attività ludiche spontaneamente.  Vogliono esclusivamente vincere: essere i primi, i più veloci, i più forti e soprattutto non conoscono e non intendono sperimentare i propri limiti. Abbiamo rinchiuso i bambini per “proteggerli”: nelle case, nelle scuole, nelle palestre, nelle piscine, nei campi da calcio delle società sportive, a lezioni di musica, di inglese, ecc. Chiusi anche quando stanno all’aperto. Ad esempio in quella sorte di “riserve indiane” metropolitane che sono i playground, cioè gli spazi segreganti, attrezzati con giochi standardizzati, caratterizzati dall’orizzontalità che favorisce un controllo totale, con la funzione principale di togliere i bambini dallo spazio pubblico per far si che non intralcino, attraverso le loro pratiche “anarchiche”, l’utilizzo dei luoghi normati dagli adulti, ossia dai pianificatori asserviti alle logiche economiche e produttive del nostro sistema. Logiche che producono corpi addomesticati e assoggettati al capitale, che l’autore del saggio invita a liberare.

Lisa Barbanti