La perdita dei sensi. Come la realtà digitale ci cambia

Di BENEDIKT HAUFS
(traduttore francese/tedesco, Düsseldorf)

Uno sguardo indietro mi porta nella nostra aula scolastica dell‘anno 1988: Il sole primaverile risplende attraverso la finestra ed il nostro insegnante spiega alla lavagna col gessetto un compito di matematica. Noi bambini calcoliamo insieme con lui. È un calcolo mentale, un gioco per i nostri cervelli. Fra le righe e fra la classe girovaga velocemente un foglietto della posta di classe: Chi può darmi i compiti d’italiano? Ed anche uno sguardo veloce, magari un po’ timido, alla ragazza nella seconda fila. Una piccola spinta al vicino di classe: “Dimmi, conosci tu il suo numero di telefono? “.
“Ma si, ce l’ho nella testa (lo so a memoria), te lo dico, scrivi…”.
Tutto ancora a memoria… tutto ancora annotato con la matita, tutto aveva la sua velocità – innumerevoli sensazioni accompagnavano l’apprendimento, aiutavano più tardi ricordandosi una situazione con tutti suoi dettagli e particolarità: la fisicità, gli odori, la mimica, i gesti – residui di un mondo antico. Sopravviveranno, oppure vanno persi nel mondo digitale, in un universo parallelo?

Oggi, trentacinque anni più tardi, salgo in un tramvai. Magari anche un’altra persona legge un giornale cartaceo, ma la più grande parte dei viaggiatori sta giocando sullo smartphone, guarda un film oppure scrive messaggi. È divenuto raro semplicemente osservare il mondo fuori della finestra in modo tediato, leggere un libro oppure attaccare un discorso con un compagno di viaggio finora sconosciuto. Com’era nel passato? Di nuovo lo sguardo si svolge venti anni indietro, in una stazione ferroviaria svizzera. Da studente sono in viaggio, sto aspettando il treno per l’Italia. Accanto a me sulla panchina una giovane donna aspetta lo stesso treno. Mi siedo accanto a lei, cominciamo a parlare. Mi ricordo il suo profumo, misto con l’atmosfera del viaggio, il vento estivo. Un po’ più tardi, al San Gottardo tuona un temporale estivo ed il treno continua il suo viaggio a Milano. Dopo, ci scriviamo delle lettere. Oggi, sarebbe stato possibile? Si rivolge ancora la parola a qualcuno? O parrebbe insistente? Ci vorrebbe una app…? Il mondo è diventato più veloce per via dello sviluppo tecnico, che ci avvicina in modo digitale, ma ci distanzia nella forma fisica e le sensazioni non danno pazienza per un avvicinamento più diretto. La bellezza si sposta dal mondo reale a quello digitale.

Ci ricordiamo gli adattamenti cinematografici dei libri per bambini come quelli di Astrid Lindgren. Le immagini avevano un’altra velocità. Un cavallo pascola su un prato estivo e la telecamera riposa su questo allestimento (scenario). Niente succede. Gli uccelli cinguettano, le erbe dondolano dolcemente nel vento. Dura, il tempo passa. Le impressioni si consolidano, si staccano consapevolmente degli allestimenti precedenti più veloci, durante i quali i protagonisti fanno tutto con grande velocità. È come una composizione musicale, che si alimenta anche delle sue pause, delle sue note breve e lunghe, dei suoi suoni tutti fini, della sua sonorità facendo uso di tutta la scala del piano al forte.

I film per bambini d’oggi conoscono spesso solamente delle sequenze di immagini brevi e di altissima frequenza, durante le quali ogni singola immagine ed ogni impressione, tagliata nel mattatoio delle sequenze, ha in apparenza tanto poco valore, che si può solamente osservarla per il momento di una folgorazione. E la mimica, che potrebbe essere espressa da un attore fanciullesco permettendo uno sguardo più profondo nella sua anima, si ispira nei nuovi cartoni animati d’oggi dai modelli standard ridotti, i quali nella loro semplicità permettono solamente un margine di interpretazione ridotto.

Così, i bambini fanno fatica a ritrovarsi (=rispecchiarsi) nei protagonisti digitali, perché la personalità di un bambino è molto più complessa. Quale è l’impatto di questa artificialità nei nostri bambini? E che cosa cambia questo bersagliare durevole di immagini e di informazioni in modo neurologico, se manca il tempo per la noia, per il riposo mentale, per l’oziosaggine e la fantasticheria. Non è che questi tempi di fannullonismo (…) sono di infinita importanza per l‘imparare e per l’ancorare nel subconscio?

Un bambino impara imitando il suo ideale. Il rispecchiarsi nel suo ideale diventa impossibile se un bambino guarda fuori della carrozzina i suoi genitori, ma se i loro sguardi si appoggiano in modo incessante sullo smartphone: Facendo una passeggiata, nella metropolitana, dal panettiere… L’accertamento veloce tramite un sorriso, uno sguardo fidato ed intimo. “Papà sta bene, allora anch’io sto bene”, non funziona più. Diventa difficile costruirsi una fiducia profonda!

Le dimensioni, che per millenni ci hanno data sostegno e conforto pian piano, vengono perse: la dimensione ottica come uno sguardo rassicurante, la dimensione di una carezza veloce, la dimensione acustica di una parola calmante. I social media assorbono l’attenzione della persona di riferimento. Per il bambino, solamente una quota dell’attenzione può rimanere, perché l’attenzione per lo smartphone assorbisce più che zero.

Rivolgiamo lo sguardo indietro nell’aula scolastica dell‘anno 1988: è già dopo mezzogiorno, si diventa inquieti. Se a casa è già arrivata una lettera delle amiche di penna? Scrivere a mano mostra un’attenzione molto particolare, è vivo e dolce. Nessun smartphone, nessun social ce l’ha. Abbiamo imparato l‘aspettare. La virtù dell’attesa può approfondire e consolidare, siamo ancora oggi in amicizia. La scrittura mostrava l’affetto,  il carattere, oppure l’inquietudine del momento. Scrivere chiedeva pazienza, una propria velocità e organizzazione, un pensiero che con Whatsapp non è possibile.

Qualche volta la lettera è stata accompagnata da una foto: prima in bianco nero, poi in colori, era una scelta consapevole, visto che ogni foto costava. Una volta, un amico mi ha mandato qualche granello di sabbia in una busta di lettera. Solamente per sperimentare, per provare, per stillare – per la percezione aptica – ed il sentimento. La sabbia via Whatsapp non è possibile…

Si potrebbe continuare questo listino in modo illimitato: la calcolatrice invece del calcolo mentale… La app per le previsioni per il tempo invece di un barometro, Google Maps al posto di qualsiasi allenamento di orientarsi. Venti anni fa, ho attraversato le Alpi in bicicletta. Da Monaco di Baviera fino a Verona senza app, nè cartina. Oggi, ho difficoltà a memorizzare i i nomi delle strade perché non non ne ho più la necessità. Quale giovane è ancora capace di fare lavori di artigianali col legno, chi sa illustrare come funziona un motore a combustione? Solo pochi lo sanno fare, ma tutti sanno utilizzare un app per qualsiasi cosa.

Tu, nuovo mondo digitale…: con te che cosa rimane, che cosa viene perso per sempre? Nell’insieme, le esigenze della gente diventano sempre più grandi e la vita diventa più complessa. Nel mondo reale manca il tempo per il proprio ascoltare, il vedere, l’assaggiare ed il sentire. Per i propri bambini, per amici, per i vicini, per tutto quello che ci sostiene. Fa parte della nostra autonomia, come impieghiamo il nostro tempo. È la (troppo grande) dose che fa il veleno.

 

 

 

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