Città e salute: è una scelta?

Di Rebecca Conti

Recentemente mi è capitato di iniziare una nuova docuserie su Netflix dal titolo “Zone Blu: i segreti della longevità”. Subito mi ha incuriosita per la dichiarazione forte dell’inizio: esistono 9 posti in giro per il mondo accomunati da una caratteristica ben precisa. Individuati dal ricercatore americano Dan Buettner, in questi luoghi esiste una concentrazione di individui centenari significativamente maggiore rispetto al resto del mondo.

Immediatamente questa notizia mi ha stupito. Come è possibile che posti così lontani nel mondo (si va dall’Isola di Okinawa in Giappone, alla Provincia dell’Orgliastra in Sardegna) siano accomunati da questo “segreto della longevità”? Esiste una prassi comune, una pillola magica, oppure si tratta di un caso?

Quello che Buettner scopre è che la formula che ha permesso a queste comunità di prosperare e vivere una vita longeva e in salute, è un connubio perfetto tra: attività fisica fino alla tarda età; cibo poco elaborato, ricco di proteine vegetali e con poche proteine animali; ma soprattutto senso di comunità, spiritualità, vicinanza e relazione. Per capire come tutto questo sia possibile, è necessario fare qualche passo indietro.

Troppo spesso nei secoli precedenti ci siamo sentiti deboli davanti alla classica narrazione, per lo più americana, del “se vuoi, puoi”. Alla fine di un’altra docuserie – “Allerta spoiler” – sono proprio gli americani a fornire un esempio di come questa narrazione sia, essenzialmente, incompleta. Lo slogan dovrebbe essere modificato, più o meno così: “Se vuoi, e le caratteristiche del tuo ambiente fisico e sociale vanno nella tua stessa direzione, ci sono buone probabilità che tu possa”.

Loma Linda è una città all’interno della contea di San Bernardino, in California, ed è oggi caratterizzata da una comunità di 9.000 persone che vivono circa 10 anni più a lungo rispetto alla media nazionale.

La differenza con il resto del Paese è sorprendente: a 5 km di distanza, divisi solo da una strada, i cittadini dei due gruppi (dentro e fuori Loma Linda) hanno aspettative di vita e condizioni di salute incredibilmente peggiori.

Le ragioni dietro un simile fenomeno sarebbero troppe da trattare tutte insieme, dal momento che come abbiamo detto, sono tante le cause che possono creare questi squilibri e questi vantaggi. A scanso di semplificazioni, le dinamiche principali sono da ricercare nella psicologia della salute, della comunità e ambientale.

Le tre branche della psicologia (ambientale, della salute e comunitaria) si occupano di aspetti diversi dell’agire umano, ma sono accomunate da un’unica forte convinzione: il nostro ambiente plasma le nostre scelte e quindi i nostri comportamenti. Un concetto talmente semplice da essere in grado di cambiare radicalmente i nostri outcome di salute. Prendere atto di questo meccanismo ed esserne consapevoli rappresenta una portata rivoluzionaria enorme, una possibilità di sviluppo e innovazione, ma soprattutto di salute e benessere per le nostre città.

La psicologia della comunità con il suo modello biospsicosociale (Engel, 1977) rifugge spiegazioni semplicistiche che valorizzano unicamente la “forza di volontà” della persona, e che rischiano di cadere troppo spesso in dinamiche di colpevolizzazione per malattie che derivano da stili di vita scorretti. Certo, l’individuo ha la sua parte, e la motivazione intrinseca ed estrinseca delle persone può aumentare o diminuire drasticamente la possibilità che un obiettivo venga raggiunto. Ma quel che veramente va modificato, insieme alle credenze e ai valori dell’individuo, è l’ambiente intorno a lui. Sarà la disponibilità e l’accessibilità delle risorse che fungerà da incentivo o da deterrente all’avvicinamento di quel determinato obiettivo, aumentando la probabilità che quest’ultimo venga raggiunto con successo o meno.

La psicologia ambientale e psicologia della salute condividono un terreno comune: hanno a che fare con l’uomo e con come questo utilizza le risorse che gli vengono offerte. Il criterio principale sulla base del quale un individuo sceglierà un alimento sano, rispetto a quello di una catena di junk food, e è la sua accessibilità. Lo stesso vale se dovesse decidere di spendere il suo tempo libero facendo una corsa nella natura, piuttosto che giocando alle slot machines.

Con accessibilità si intende sia quella fisica che psicologica. Quella fisica: come l’uomo abita il suo spazio, quali sono i servizi più prossimi alla sua abitazione, quali sono le scelte che gli si palesano davanti. Quella psicologica: ciò che il soggetto desidera fare, le sue inclinazioni personali, quanto è individualmente “più vicino” al sentire di una persona. Ma la prossimità fisica e psicologica hanno un’influenza sulle nostre vite molto più forte di quanto immaginiamo. Se, ad esempio, il tuo vicino di casa sceglie di seguire una dieta salutista e vegana e di andare in palestra 3 volte alla settimana, il suo comportamento finale sarà il risultato della sua determinazione, delle caratteristiche del quartiere, della libertà che il suo lavoro gli darà, e dei comportamenti che gli individui intorno a lui perpetreranno.

Questa riflessione ci suggerisce di mettere inevitabilmente in discussione il modo in cui, come società, cerchiamo di perseguire obiettivi di salute. Più che campagne isolate e caratterizzate da tecniche persuasive inefficaci e deboli, sarebbe necessario riprogettare gli interventi comunitari in un’ottica più integrata. Quello che dovremmo auspicarci è un intervento sinergico sul piano comunitario, sociale, sanitario ed ambientale; in grado di cogliere tutti i bisogni che l’individuo esprime nel corso della vita e offrire, così, servizi che vadano in tale direzione.

L’ambiente, dunque, può e deve essere progettato in funzione della salute e del benessere di chi lo abita. «We hope for health but we really incentivize for sickness», dice Dan Buettner riferendosi ai quartieri svataggiati e poveri; ma la vera salute non può essere un privilegio di pochi quando la progettazione del nostro ambiente gioca un ruolo così decisivo.

Prevenire vuol dire guardare oltre e curarsi del futuro accompagnati da una morale ben precisa: se si può, dobbiamo fare in modo che si faccia.