La Festa del Papà è per ognuno di noi!

Di Paola Navotti

La Festa del Papà cade il 19 marzo perché in tale giorno sarebbe morto San Giuseppe, padre putativo di Gesù, modello di bontà, di rispetto, di amorevolezza e devozione familiare. Nel calendario romano tale festività risale al 1479, per iniziativa di papa Sisto IV. Nel 1871 papa Pio IX proclamò San Giuseppe protettore dei padri di famiglia e patrono della Chiesa universale. Nel 1910, nel paesino americano di Spokane, la Signora Sonora Smart Dodd promosse il primo Father’s Day in onore del proprio padre: ex-combattente della Guerra di Secessione, che aveva speso la propria vita ad accudire i sei figli dopo la prematura scomparsa della moglie. Nel 1966, il presidente americano Jhonson ufficializzò tale evento locale come festa nazionale, definendo così la festa del 19 marzo, anche a livello internazionale, non più come una ricorrenza solo religiosa, ma omaggio laico a tutti i padri del mondo. In Italia, il 19 marzo è rimasto giorno festivo civile, oltre che religioso, fino al 1977.

Seppur in periodi diversi e a prescindere dalle celebrazioni religiose o laiche, la figura del padre viene da sempre celebrata in tutto il mondo. Perché? Non si tratta appena di una gratitudine affettiva – peraltro non scontata, né purtroppo sempre dovuta – ma dell’esternazione di un bisogno profondissimo che si esprime sia nel ricevere, che nel dare. Nel ricevere: il bisogno di essere protetti; rispettati nella libertà, ma – nello stesso tempo – indirizzati verso il bene; mai abbandonati; sempre accompagnati. Nel dare: il bisogno di lasciare a nostra volta del bene a chi è figlio naturale, ma anche a chi non lo è. Essere fecondi, essere madri e padri naturali, o putativi, è un bisogno innato che è parte integrante della nostra umanità. L’essere generativi, contribuire a qualcosa che vada oltre i nostri limiti temporali e temperamentali, è un istinto, un’inclinazione naturale insopprimibile che ci contraddistingue come persone e che, peraltro, ci fa diventare persone migliori. Come Enea che, portando sulle sue spalle il padre Anchise, ormai paralizzato alle gambe, dice ciò che, nel profondo, ognuno di noi vorrebbe dire: «Su, dunque, amato padre, salimi sul collo! Ti sosterrò con le spalle e il peso non mi sarà grave: dovunque cadranno le nostre sorti, uno e comune sarà il pericolo, una sarà per ambedue la salvezza».