A te, interessa la poesia?

Di MARIA PIACENTE

Da molti anni la poesia fa parte della mia vita. Leggendola o scrivendola, è diventata come uno speciale cannocchiale con cui veder meglio me e la realtà. Ma per chi non ha lo stesso vissuto, cosa rappresenta la poesia e come viene sentita? Ho pensato di rivolgere queste domande ad un’amica recentemente conosciuta che, pur in una generale prossimità, ha una sensibilità diversa dalla mia. Così, raccogliendo le conversazioni tra me e lei attorno all’ampio tavolo della nostra redazione, è nato questo dialogo.

Rachele, tu leggi libri di poesia?
Quando mi capita, molto volentieri. Ma non li cerco, perché leggere poesie mi mette un po’ in crisi. Non riesco cioè a rimanere distaccata dai sentimenti che una poesia esplicita: istintivamente li paragono con ciò che sento e vedo io e, inevitabilmente – avventurandomi in questo paragone – comincio a scavare dentro di me. Nel “sottosuolo” in cui approdo, c’è sempre una drammaticità: non perché la mia vita abbia solo fatti drammatici, anzi; ma perché è piena di punti misteriosi che non so spiegare, che non controllo e che mi riempiono di domande. E le domande in effetti destabilizzano, non sono mai pacificanti.


A cosa può servire dunque la poesia?
Io credo che serva ad esprimere quella tensione all’infinito di cui ci ritroviamo fatti. Nessuno desidera un frammento di bellezza, o di bontà, di verità o di giustizia: tutti desideriamo l’infinitamente bello, buono, vero e giusto, ma questa infinità non c’è sulla nostra terra. Ci sono solo dei segni e, per questo, pensare all’infinito mi evoca sempre un sentimento di nostalgia, di mancanza di qualcosa che non è sempre con me. Forse è per questo che il naufragar nel mare dell’immensità – “L’infinito” di Leopardi che tutti conosciamo – per me non è dolce, come lo sente il poeta. È drammatico, acuisce sempre di più il mio sentimento di nostalgia.

Qual è la tua poesia preferita?
“Mia giovinezza” di Ada Negri. Non l’ho studiata a scuola, eppure la so a memoria per tante volte che l’ho letta e ne ho percepito la potenza di verità per la mia vita. “Or guardi al Lume che non inganna: nel suo specchio miri la durabile vita”. Ecco, l’esser vicini a un Lume eterno, cioè alla risposta ultima che abbraccia tutte le domande che la vita pone, questo per me è dolce. E pacificante, confortante. Essendo la vicinanza a questo Lume possibile solo al termine della propria vita, mi stupisco che sia un pensiero per me non drammatico, non nostalgico, ma tant’è: pensare a quando tutto sarà chiaro, a quando ogni contraddizione dell’esistenza e della storia intera sarà sciolta, pensare a questo mi mette in pace. La certezza di un porto d’arrivo, in definitiva, mi mette in pace.


In una celebre intervista televisiva[1], Giuseppe Ungaretti disse che
«Se la poesia è decifrabile nel modo più elementare, non è più poesia. Anche la poesia che pare semplice deve contenere un segreto… La parola non riuscirà mai a dare il segreto che è in noi, mai: lo avvicina». Rachele, tu lo senti questo segreto quando ti capita di leggere poesie?
Sì, senza dubbio. Sento che c’è un mondo più grande dietro ai versi di un poeta. Un mondo che rimarrà sempre suo e nel quale io guardo come si guarda da una finestra: la vista arriva fino a un certo punto, non riesce a superare l’orizzonte. È come quando si guarda un ritratto: cosa ci sia dietro certe espressioni rimane un mistero e, in effetti, ogni mistero è affascinante. Può essere destabilizzante, come lo è un po’ per me, ma sicuramente affascinante, attraente.


Come descriveresti un poeta, una poetessa?
Colui e colei che si ferma a guardare, che non ha paura di sentire quel vuoto allo stomaco che si prova di fronte a un’intuizione, a un presentimento, a un’emozione bella o brutta che sia, espressa non necessariamente con rime o particolari figure retoriche. Da questo punto di vista e ancora riferendomi a come io personalmente sono fatta, credo che diventare poeti sia per pochi. Eppure – paradossalmente – ciò che i poeti scrivono è per tutti, riguarda tutti perché mette a tema il cuore, quella speciale bussola che, chissà come, tutti orienta. Un cuore, intendo dire, è ciò che tutti abbiamo in comune.


Ricevendo nel 1996 il Nobel per la letteratura, la poetessa polacca Wislawa Szymborska disse: «I poeti avranno sempre molto da fare». Pensando a come sta andando il mondo – alla velocità del progresso tecnologico, così come allo sgretolamento della pace – tu condividi questa frase?
Sì, ma con una piccola aggiunta: chiunque di noi avrà sempre molto da fare. Non solo i poeti, non solo gli intellettuali. Non solo chi ha una preparazione particolare, o una particolare responsabilità. Non solo chi è eclettico, non solo chi è avvezzo d’arte. Tengo a specificare questo perché credo che la responsabilità educativa di una massaia abbia la stessa rilevanza di quella di una poetessa.

[1] Intervista al poeta Giuseppe Ungaretti trasmessa dagli studi televisivi della Rai nel 1961, all’interno del programma Incontro con… Giuseppe Ungaretti, a cura di Ettore della Giovanna.