Quali talenti? (editoriale)
Di MARIA PIACENTE
La storia di noi umani è caratterizzata fin dalla nascita dal rapporto a due. In primis dalla relazione madre-figlio: piccoli esseri indifesi, non potremmo mai sopravvivere se non ci fosse qualcuno ad accudirci e a rimetterci continuamente al mondo con uno sguardo che dovrebbe incitarci ad una cosa sola: diventa ciò che sei! Abbiamo bisogno di essere visti, abbiamo bisogno di occhi che, guardandoci, siano in grado di mettere a maggese i nostri semi. Qualcuno che abbia la pazienza di fare, guardare, aspettare, ascoltare, stupirsi al primo piccolo germoglio, amare. Avere una buona relazione con i nostri piccoli non è questione di poco conto, tanto che la psicologia evolutiva si occupa proprio di questo.
Quando, in pieno sessantotto, giovanissima sono diventata madre per la prima volta, insieme a un mazzo di fiori, mio marito mi portò in ospedale un libro allora famosissimo di Benjamin Spock: Il bambino. Come si cura e come si alleva. Ogni tre per due il dr Spock rimandava alle cure pediatriche – per il male al pancino, per il sonno disturbato e così via – ma più di questo, soprattutto mi ricordo che, leggendo quel testo, mio marito ed io stavamo costruendo una fondamentale relazione a due (prima che divenisse a tre e poi a quattro). Essere visti, ricevere gli sguardi e assorbirli è la condizione essenziale per potere crescere, per poterci conoscere e riconoscere: se, infatti, nessuno ci vede, se nessuno ci conosce, come possiamo vederci da noi stessi? La nostra umanità si realizza solo attraverso l’altro, io posso definirmi solo attraverso l’altro. Ma il tutto inizia dal due e, se ci pensiamo, prosegue tutta la vita con il numero due. Essere due, del resto, ha a che fare anche con la nostra fisicità, che quasi sempre riporta ad una simmetria: due occhi, due braccia due mani, due gambe… Di una simmetria costante, di una relazione costante con l’altro, non potremo mai fare a meno! Come sottolinea Luce Irigaray – nota filosofa e psicoanalista belga, che la nostra Rivista ha avuto l’onore di intervistare[1] – nel libro Essere due: in ogni luogo e in ogni tempo siamo sempre in due in una dialettica dell’intersoggettività fondata sulla differenza sessuale. Elemento quest’ultimo assolutamente attuale e sempre necessario di speculazione e di ricerca.
Uno dei miei ultimi viaggi con mio marito è stato in Grecia, a Delfi, là dove l’esortazione dell’oracolo – “Conosci te stesso”, ciò per cui sei nato – intimorisce, ma allo stesso tempo innalza la potenza della sua asserzione. Chi siamo? Dove, quali e quanti sono i nostri talenti? Come riconoscerli?
In questo dossier – Talenti (non talent show) sin dall’infanzia – Autrici ed Autori di varie discipline e di talento (!) hanno declinato e approfondito in varie direzioni tale tema, creando così un ventaglio davvero nutrito. Nel mare magnum dei talentuosi, alcune domande dirimenti ci portano a riflettere in più direzioni: sui talenti non immediatamente visibili e misurabili; sulla necessità di trattarne con cura ed attenzione la fragilità; sulla forza e il coraggio che occorre nel divenire se stessi; sui talenti che si manifestano all’improvviso e salvano la vita. Sui talenti dei “senza talento” e molti altri. Sui talenti – aggiungiamo noi – di chi riesce a dire qualcosa al mondo senza sgomitare furiosamente per mettere in mostra il “proprio talento”. Occorre davvero riflettere sull’oggi, su come il quarto d’ora di notorietà che non si nega quasi a nessuno riempia l’Ego di ciascuno e di ciascuna e, a volte, ci conduca ad inciampare nelle nostre emozioni e a mortificare i nostri talenti.
Proprio di questi giorni è la notizia che il giovane cantante Sangiovanni – che ha partecipato al Festival di Sanremo con un notevole successo – si è ritirato dalle scene perché si sentiva troppo fragile per proseguire la sua avventura canora, dicendo: «non riesco più a fingere che vada tutto bene». Un talento interrotto? Certo, ci vuole fegato per stare accanto al proprio desiderio, al proprio inconscio. Ne parlano gli psicoanalisti, ma chi altri se ne interessa di questi tempi? Siamo tutti presi dall’efficienza e non c’è innovazione che non ci faccia pensare a come “guadagnare tempo”, ma per farci cosa poi? Todo cambia, cantava con grande sentimento e con una voce meravigliosa Mercedes Sosa. È proprio così. In questa nostra epoca, in cui andare a un concerto presuppone la ripresa con il cellulare del nostro cantante adorato e di noi stessi per essere sicuri che i nostri amici e le nostre amiche sappiano che ci siamo stati per davvero… qualcosa è più che cambiato.
Il nostro mondo è iperattivo e in perenne guerra, senza una direzione; ma è veramente così? Accadono per fortuna eventi che sembrano andare in controtendenza, o forse sono solo i desiderata di noi pacifisti. Due bellissimi film parlano di altro, di un sé autentico che, forse, ha saputo ascoltare il proprio desiderio con e senza talenti. In “Perfect days”, di Wim Wenders, il personaggio principale si chiama Hirayama: è un uomo di bell’aspetto con interessi musicali e letterari da fine intellettuale; si sveglia tutte le mattine abbastanza presto e, nell’uscire dalla sua casa calda e accogliente, alza gli occhi al cielo e sembra già sorridere al mondo. Con il pulmino poi, contenente tutte le attrezzature necessarie, si inoltra nella città e inizia la giornata di lavoro: pulizie dei bagni di Tokyo… bagni che brillano tutti dopo il suo intervento. Hirayama, che ha un passato forse un po’ tormentato, sembra felice: la sua è una vita semplice, ma attenta al mondo circostante.
In “Il ragazzo e l’Airone”, stupendo cartone animato del regista, sceneggiatore e fumettista Miyazaki, sono dipinti temi essenziali come il potere dell’amicizia, la morte, il senso dello stare al mondo e la forza di andare avanti anche dopo grandi difficoltà.
Dunque, noi che abbiamo cari le nostre ragazze e i nostri ragazzi, occhio ai loro talenti, alle loro fragilità e alla loro umanità: non lasciamoci toccare troppo dal riduzionismo efficientista di questi tempi (per dirla come Ugo Morelli), poiché è la capacità poetica la distinzione dell’umano.
Divieni perciò te stesso, non te ne dimenticare.