3 maggio: Giornata Mondiale della Libertà di Stampa

Di Paola Navotti

Dal 1993, ogni 3 maggio si celebra la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa. Fu una decisione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite su proposta dell’Unesco. Quest’ultima nel 1991, dal 29 aprile al 3 maggio, aveva organizzato a Windhoek, in Namibia, un seminario che sensibilizzasse e promuovesse la libertà della stampa africana, già da allora a grave rischio. Il risultato fu, a cura dei numerosi giornalisti africani presenti al seminario, la redazione della cosiddetta Dichiarazione di Windhoek, che poneva la libertà di stampa, il pluralismo e l’indipendenza dei media come elementi fondamentali per la difesa della democrazia e il rispetto dei diritti umani. L’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo già dal 1948 sosteneva con forza che «ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza frontiere». Ma purtroppo anche i diritti più ovvi hanno bisogno di essere difesi. Dal 1997, l’Unesco ricorda questa Giornata Mondiale conferendo il Premio Guillermo Cano a individui, organizzazioni o istituzioni che hanno dato un contributo evidente alla difesa e al supporto della libertà di stampa, soprattutto in una situazione di pericolo. Il nome del premio è stato scelto in onore di Guillermo Cano Isaza, giornalista colombiano ucciso il 17 dicembre 1986 a Bogotà, mentre usciva dalla sede del suo giornale, El Espectador. Nel 2000 Cano è stato inserito dall’International Press Institute tra i 50 eroi della Libertà di stampa nel mondo del XX secolo, tra i quali compare anche il nostro Indro Montanelli.
Quest’anno la Giornata Mondiale viene celebrata a Santiago, in Cile e, come di consueto, sarà anche occasione per diffondere i nuovi dati raccolti dall’Unesco sul livello mondiale della libertà di stampa. I numeri dell’anno passato, all’osso, rilevavano che nei 180 paesi valutati, le condizioni per esercitare il giornalismo fossero scarse in 7 paesi su 10; la Norvegia si confermava al primo posto; mentre Vietnam, Cina e Corea del Nord agli ultimi posti. L’Italia risultava al 41°. In attesa dei nuovi dati che verranno divulgati a Santiago, torna in mente la storia del primo giornalista proclamato santo, il 15 maggio 2022 da papa Francesco: si tratta di Titus Bradsma, il frate giornalista che coordinava la resistenza della stampa cattolica nei Paesi Bassi. Morì nel campo di concentramento tedesco di Dachau nel 1942, a seguito di un’iniezione di acido fenico. All’infermiera tedesca che lo stava uccidendo, lui regalò il suo rosario e proprio questa infermiera fu la principale testimone del processo di beatificazione del frate, raccontando l’eroicità nella fede delle sue ultime ore. Ma tale eroicità durava da molti più anni: già giornalista, rettore dell’Università di Nimega e assistente ecclesiastico dell’associazione dei giornalisti cattolici dei Paesi Bassi, tra il 1938 e il 1939 Titus denuncia con forza la disumanità dell’ideologia nazista. E nello stesso tempo afferma la maggior forza della libera informazione. «Dopo i pulpiti delle chiese, la stampa è il pulpito migliore per predicare la verità… La stampa è la forza della parola contro la violenza delle armi, la forza della nostra lotta per la verità»[1]: così scrisse Titus di suo pugno, rammentando anche a noi oggi che ogni verità è muta senza un megafono che la diffonda. Cioè, fuor di metafora, senza “penne” libere, o lasciate libere.

 

 

[1] Cfr. Fernando Millan Romeral, Il coraggio della verità. San Tito Brandsma, Ancora, 2022.