Sillabario pedagogiko – Eco

Sillabario pedagogiko

di Francesco Cappa

Goffredo Parise, descrivendo la necessità che lo aveva spinto a stendere i suoi Sillabari, ha detto: “Gli uomini d’oggi hanno più bisogno di sentimenti che di ideologie”. Ogni pedagogia è intrisa di ideologia, ma nasce sempre da un sentimento, non sempre benevolo, che riguarda i rapporti con noi stessi e con l’altro, compresi alla luce del tempo in cui viviamo. Questa rubrica si propone di mettere al lavoro uno sguardo sulle cose che ci circondano, siano queste parole, immagini, incontri, eventi. Un’attenzione per quelle tracce che rivelano il pedagogico nel quotidiano, non dimenticando che l’osservazione – inizio di ogni educazione – è il miglior antidoto per le illusioni del sentimentalismo. Solo così i dettagli che stavano, forse, per sfuggirci possono diventare dei segnali.

Alcuni pensieri che si fanno eco. Primo pensiero.

Sono molti anni ormai che anche nel discorso pedagogico, sia nella filosofia dell’educazione, nelle pratiche formative, sia nella cultura della ricerca pedagogica che il paradigma ecologico ha preso il suo spazio. In genere lo si nomina quando si parla della crisi del paradigma positivistico classico, spesso – ammettiamolo – un po’ banalizzato ad arte, facendolo apparire più “brutto, cattivo e sfruttatore” di quel che era perfino ai suoi albori. Di solito si citano contributi come quello di Frederick Clements, che sviluppa una concezione integrata e olistica del mondo naturale concepito come un macro-organismo. Arthur Tansley, padre del concetto di ecosistema, che per primo sottolineò che non ha senso sostenere una visione della realtà in cui esistono realtà parziali e isolate: la visione da lui proposta è fatta solo da reti di relazioni, tanto che affermava che per lui le relazioni delle cose erano “più reali” delle cose stesse. Dunque, si manifesta un’ontologia (ossia un discorso sull’essere) del- la relazionalità, che concepisce la realtà come rete di relazioni attraversate da flussi di energia. Quindi, come spesso ripete Luigina Mortari, una delle rappresentanti italiane più importanti del paradigma ecologico in ambito pedagogico, studiare la realtà significa studiare le reti di relazioni che si vanno strutturando e seguirle nelle loro trasformazioni. Poiché gli ecosistemi sono nutriti da complessi scambi di informazioni caratterizzati da continue retroazioni, in cui ogni agente non solo veicola informa- zioni su un altro, ma subisce la risposta che l’altro mette in atto: in questo senso la logica causale-lineare tipica del della proposta positivistica risulta inadeguata e viene sostituita da una logica di tipo circolare-ricorsivo.

Edgar Morin parlava di “causalità retroattiva”, una causalità che determina il fatto che ogni sistema vivente risulta avere una sua storia, che descrive e racconta l’evoluzione dei suoi processi auto-organizzativi: quindi conoscere, per la prospettiva ecologica, significa raccontare storie.

La storia dell’ecologia va osservata in stretta connessione con quella della biologia. Il concetto di natura, superando il paradigma meccanicistico, inizia a indicare un sistema vivente capace di memoria. È famoso l’esempio di Rupert Sheldrake in relazione ai sistemi natura- li, come le colonie di piccioni e di termiti, che ereditano una memoria collettiva da tutti gli organismi dello stesso tipo esistiti precedentemente. Quando gli uccelli o i castori apprendono qualcosa di nuovo è come se questo nuovo apprendimento andasse a incorporarsi in quella che può definirsi una mente diffusa, ossia in una memoria di comunità. Il nuovo venuto, il giovane, si inserisce in una tradizione di pensieri e di pratiche, assimilando da queste una memoria esistente e contribuendo alla sua trasformazione attraverso le elaborazioni del suo singolare processo di apprendimento.

Secondo pensiero.

In un recente convegno sui significati emancipativi della ricerca sociologica, Franco “Bifo” Berardi ha portato un contributo interessante per leggere alcuni fenomeni e sintomi recenti e recentissimi del rapporto tra movimenti giovanili, cambiamento climatico e azione politica. Provo a restituirne alcuni passaggi.

Siamo di fronte ad una novità nel discorso pubblico: per la prima volta la prospettiva dell’estinzione entra con prepotenza e violenza nel discorso pubblico globale come un elemento non sfuggente e appartenente ad un orizzonte lontano o lontanissimo, bensì

come un dato possibile e a breve termine. La “crociata dei bambini”, come è stata a volte rinominata la falange varia e sparsa che si è aggregata intorno alla figura di Greta Thunberg, sa che la vita non sarà più umana, fra poco. Il capitalismo avanzato ha sfruttato fino all’impossibile le due risorse fondamentali: le risorse del pianeta, ormai ridotte a quello che sappiamo; le risorse nervo- se, psichiche delle persone. La “tempe- sta di dati”, lo sciame come ha scritto Han, forniti dalla vita digitale ha esaurito le risorse della “mente critica” e gli scenari di Black mirror non sono più fiction da molto tempo e sono parte delle lenti con cui si cerca di prevedere i flussi finanziari, più o meno immaginari. Il capitalismo, almeno dagli anni Ottanta del XX secolo, era già diventato predazione sistematica, ossia legato all’estrazione di minus valore da beni che erano già stati accumula- ti: non c’è uno sviluppo a carattere espansivo, ma – come aveva già intuito Walter Benjamin quasi cent’anni fa – è rimasto solo il carattere distruttivo come paradigma assoluto dello sviluppo di capitali.

Dopo il 2015 abbiamo tutti varcato una soglia simbolica, continuava Bifo. In Grecia la maggioranza ha votato per opporsi alle imposizioni della Troika europea. Pochi giorni dopo il primo ministro greco si piega all’umiliazione definitiva, per il “bene” del suo popolo e del suo paese. Tutti sentono che la democrazia non ha più potere, prima tutti lo sapevano, ma il cambiamento riguarda il sentire, ossia ciò che cambia il nostro rapporto più profondo e “animale” con la realtà e il nostro stare al mondo. Tutti si sentono scossi dal sonno di un incantesimo democratico e iniziano a pensare e agire due cose, riassumibili in due enunciati: devo trovare il modo di salvare la mia famiglia; voglio solo vendetta. Nel discorso corrente un altro elemento si aggancia saldamente a questo nuovo sentire generalizzato: contro la logica dell’emergenza climatica non c’è più niente da fare. Come scriveva molti anni fa Günther Anders, questo accade “quando la tecnica umilia l’umano”.

Come risposta a questa serie di disillusioni e umiliazioni del vivere comune, l’inconscio collettivo che si presenta su questa nuova scena attribuisce alla crociata dei bambini una nuova radicalità che si possa opporre all’idea di crescita illimitata oltre ogni possibile sfruttamento, materiale e immateriale. In questo nuovo movimento non contano niente le ideologie, contano solo le aspettative. L’unica soluzione a questa situazione è il cambiamento della mente umana in termini di neuroplasticità. I rivoluzionari di oggi, rappresentati in parte dai nuovi movimenti, dovrebbero convertire la depressione, la paura dell’altro e del diverso in una neuroplasticità che punti a elabora- re il trauma dell’estinzione ormai conclamato.

La lotta all’entropia, anche dell’informazione, lo slogan del collettivo Intervention e poi dell’Associazione degli amici della Generazione Thunberg, fondate da Bernard Stiegler e da Hans Ulrich Obrist, va in questa direzione.

Bifo concludeva il suo intervento dicendo che, forse, solo se i circa cento milioni di lavoratori cognitivi, sparsi ovunque nei centri di ricerca, incontrassero la crociata dei bambini e si alzassero tutti in piedi a lottare si potrebbe ribaltare la logica di predazione della natura e della cultura che questa stessa genera- zione ha creato.

Terzo pensiero.

Forse non tutti conoscono André Gorz. Nato nel 1923, emigrato in svizzera per sfuggire al nazismo, si è poi stabilito a Parigi, scoperto e sostenuto da Jean Paul Sartre, fra i più attivi ideatori di Temps Modernes e uno dei fondatori del Nouvel Obeservateur. Pioniere della riflessione ecologica come superamento del marxismo, la sua opera e il suo impegno si situa tra la filosofia e la critica sociale, con un’attenzione particolare ai movimenti di emancipazione degli individui e la critica radicale al produttivismo e al consumismo. È alle sue stesse e precise parole che lascio quest’ultimo pensiero. “È grazie a questo, grazie alla critica del modello di consumo opulento che sono diventato un ecologista ante litteram. Il mio punto di partenza è stato un artico- lo apparso in un settimanale americano nel 1954. Esso spiegava che la valorizzazione delle capacità di produzione americane esigeva che il consumo crescesse almeno del 50% negli otto anni a seguire, ma che la gente era del tutto incapace di definire di che cosa si sarebbe composto il 50% di consumo supplementare. Spettava agli esperti della pubblicità e di marketing suscitare bisogni, desideri, nuovi fantasmi presso i consumatori, caricare le merci, perfino le più triviali, di simboli che ne avrebbero aumentato la domanda.

Il capitalismo aveva bisogno che la gente avesse bisogni maggiori. Ancora meglio: esso doveva poter manipolare e sviluppare questi bisogni nel modo più redditizio per se stesso, incorporando un massimo di superfluo nel necessario, accelerando l’obsolescenza dei prodotti, riducendone la durata, obbligando i più piccoli bisogni a soddisfarsi con il più grande consumo possibile, eliminan- do i consumi e i servizi collettivi (tram e treni, per esempio) per sostituirli con consumi individuali. Bisogna che il con- sumo sia individualizzato e privato per poter essere sottomesso agli interessi del capitale.

Partendo dalla critica del capitalismo, si arriva dunque immancabilmente all’ecologia politica, che, con la sua in- dispensabile teoria critica dei bisogni, conduce di ritorno ad approfondire e a radicalizzare ancora la critica del capi- talismo. Non direi dunque che c’è una morale dell’ecologia, ma piuttosto che l’esigenza etica di emancipazione del soggetto implica la critica teorica e pratica del capitalismo, della quale l’ecologia politica è una dimensione essenziale. Se si parte, al contrario, dall’imperati- vo ecologico, si può arrivare tanto a un anticapitalismo radicale quanto a un pétainismo verde, a un ecofascismo o a un comunitarismo naturalista. L’ecologia non ha tutta la sua carica critica ed etica se le devastazioni della Terra, la distruzione delle basi naturali della vita non sono comprese come le conseguenze di un modo di produzione; se non si comprende che questo modo di produzione esige la massimizzazione dei rendimenti e ricorre a delle tecniche che violano gli equilibri biologici. Ritengo dunque che la critica delle tecniche nelle quali si in- carna il dominio sugli uomini e sulla natura sia una delle dimensioni essenziali di un’etica della liberazione”.

Chiaro, no? Un antidoto, le parole di Gorz, per ogni contagioso criptofascismo travestito da radicalismo liberato- rio, fosse anche di natura ecologica, così di moda in questi tempi di contagi, reali e immateriali, politici e commerciali, online e offline.

In conclusione, potremmo ricordare che molto spesso i giovani fanno questo: mettono in movimento alcuni pensieri apparentemente passati. Costruiscono nuove costellazioni con le stelle fissate nel cielo dai desideri dei loro padri o dei loro nonni.

Inoltre, non si dovrebbe dimenticare che l’eco, a dispetto del velo che spesso l’apostrofo pone sulla sua vera natura, è un sostantivo femminile o maschile. Vale a dire che l’eco di certi pensieri ri- guarda il femminile e il maschile.