Quando l’intelligenza artificiale entra in aula: voci, esperienze e timori di chi educa
Di Alessandro Prisciandaro
Presidente APEI (Associazione Pedagogisti ed Educatori Italiani)
C’è un nuovo ospite nei servizi educativi, nei centri per minori, nei progetti scolastici e persino nelle case-famiglia. Non ha corpo, non ha orari, non prende ferie. Non chiede neppure un caffè. Si chiama ChatGPT ed è uno degli strumenti di Intelligenza Artificiale più diffusi, anche tra chi lavora ogni giorno con le persone.
Ma come viene accolto questo ospite invisibile da educatori e pedagogisti? Lo si teme? Lo si usa? O lo si guarda da lontano, con una certa diffidenza? Per scoprirlo, nel luglio 2025 abbiamo lanciato un piccolo esperimento: un questionario online, dieci domande secche, rivolte a chi ogni giorno fa educazione, nate a seguito di un dibattito online sul PDL ALOISIO, da cui è nata l’dea di interrogare i colleghi attraverso un questionario ancora aperto, a cui si accede dal link: https://forms.gle/hnyz6vNyFbpJBLPfA
Le risposte – che hanno superato i 200 partecipanti e sono in crescita – ci hanno raccontato molto più di quanto ci aspettassimo.
Un uso che cresce, tra esitazione e necessità
Il dato più sorprendente? Sette professionisti su dieci hanno già usato ChatGPT almeno una volta nel proprio lavoro. Non sempre con consapevolezza, certo. Spesso per scrivere una relazione, cercare riferimenti normativi, buttare giù una bozza di progetto. Altri invece lo usano “solo se serve”, mentre una minoranza dichiara di non essersi ancora fidata.
Nessuno però lo ignora completamente. È lì, nell’ombra, come un coltellino svizzero digitale, pronto a essere estratto in caso di bisogno.
Tra risparmio di tempo e bisogno di controllo
Molti degli intervistati – circa la metà – affermano che grazie all’IA riescono a guadagnare tempo prezioso, soprattutto nelle fasi di scrittura. Ma qui inizia il paradosso: quasi nessuno si fida davvero delle risposte dell’IA. Le controllano, le modificano, le correggono. Nessuno si lascia guidare alla cieca.
In fondo, chi educa lo sa bene: non tutto ciò che è veloce è anche buono. E l’efficienza non può mai sostituire la relazione, il dubbio, la riflessione.
“Vorrei usarla, ma non so come”
Un numero significativo di professionisti ha dichiarato che non ha ancora usato l’IA per costruire progetti educativi individualizzati. Non per diffidenza, ma per mancanza di strumenti. E qui arriva il messaggio più forte di tutta la ricerca: oltre il 60% dei partecipanti desidera ricevere formazione specifica, imparare ad usare l’IA con senso critico, con etica, con attenzione.
È come se dicessero: “La nave è pronta a salpare, ma ci manca la mappa”.
Oltre l’entusiasmo: un uso che può cambiare il mestiere
L’uso dell’IA è descritto anche come un’occasione per ripensare il proprio lavoro. Alcuni parlano di ChatGPT come di un “specchio pedagogico”: ti riflette quello che pensi, ma ti obbliga anche a chiarire meglio le tue idee. Ti fa notare automatismi. Ti chiede chiarezza. In certi casi, persino ti ispira.
Ma dall’altra parte si affacciano timori legittimi: appiattimento del linguaggio educativo, perdita di pensiero autonomo, delega cognitiva. Rischi concreti, soprattutto se l’IA viene usata in modo meccanico, senza un pensiero dietro.
L’educazione è un’arte, non un algoritmo
Quello che emerge con forza da questa ricerca è un sentimento comune, quasi una voce corale: l’educazione ha bisogno di strumenti, ma anche – e soprattutto – di senso. Nessun software potrà mai sostituire la capacità di ascolto, di relazione, di contatto umano che ogni educatore e pedagogista porta con sé.
L’IA può aiutare, stimolare, velocizzare. Ma non può decidere al nostro posto. E soprattutto, non può educare al posto nostro.
Conclusione: una sfida che ci riguarda tutte e tutti
Non stiamo parlando di tecnologia, in fondo. Stiamo parlando di cultura. Di formazione. Di responsabilità. Il futuro educativo non dipenderà da ChatGPT, ma da come noi sapremo – o vorremo – usarlo.
Non è l’IA a definire chi siamo. Siamo noi che decidiamo che posto darle nel nostro lavoro. E, in fondo, anche nella nostra idea di umanità.