Antichi occhiMatteo Esposito

Dopo due anni di oscurità, è tempo di uscire dalla nostra grotta. 

Sono stati mesi interminabili, tra cattive notizie e pessime. 

E così, timidamente, come forse accadeva ai nostri antenati Neanderthal dopo una lunga tempesta, ci accingiamo a percorrere la strada della caverna che ci porterà all’esterno.

Sebbene la tempesta non sia ancora del tutto passata, iniziamo a capire che lo scenario è cambiato. E con esso, anche noi. 

Inizialmente, nelle nostre notti buie, ci siamo fatti compagnia raccontandoci storie, chiedendoci quando tutto questo sarebbe finito ed augurandoci il meglio. Abbiamo avuto paura ed abbiamo pianto, quasi disperandoci.

Poi è accaduto dell’altro: abbiamo smesso di parlare. 

Giorno dopo giorno, le pareti di roccia non erano abbastanza spesse da tenere fuori anche le nostre paure più profonde. 

E così, sono entrate. 

Alla luce dei nostri cellulari, abbiamo sperato che tutto terminasse il prima possibile, ma ormai ci risultava complesso poter danzare con i nostri demoni. La luce riflessa sui nostri visi generava un’ombra sulle pareti della nostra caverna che raccontava di silenzi ed isolamento. Per un po’ di tempo abbiamo taciuto ed abbiamo pregato. 

Ma notte è più buia nell’esatto momento che anticipa l’alba: un raggio di luce sul volto, ci ha acciecato.

Abbiamo ritrovato i nostri amici e famigliari che non vedevamo da un po’, se non tramite frasi lontane o note vocali distratte. Qualcuno ci ha abbracciato. Gesto semplice, forse, ma al quale non eravamo più abituati.

Nella paura di una nuova tempesta, abbiamo camminato a pugni chiusi tra le macerie di quello che fu. È difficile riscostruire una cosa che potrebbe distruggersi nuovamente da un momento all’altro.

Ma il tempo passa e la tempesta si è allontanata sempre di più, ed è quindi giunto il momento di ricominciare a progettare, ma questa volta possiamo farlo partendo da noi.

Passo dopo passo e sorriso dopo sorriso, abbiamo iniziato a prenderci davvero cura di noi, dando vita ad un nuovo concetto di comunità; una comunità dove ognuno di noi ha un ruolo fondamentale, nel quale vivere con il massimo della dignità e del rispetto.

Punto primo: abbiamo iniziato dai più fragili. 

Bambini ed anziani sono stati ascoltati ed introdotti ad un nuovo modo di vedere le cose. I loro ruoli risultano fondamentali per noi, quindi abbiamo fatto in modo che i piccoli potessero riprendere il più velocemente gli studi e la socialità. La loro comunità è forse stata una delle prime ad essere stata danneggiata dall’avvento della tempesta. Hanno ripreso ad abbracciarsi, ridere, scherzare e litigare. Il confronto, se costruttivo, rappresenta un ottimo spunto per crescere sano e tolleranti.

Per gli anziani abbiamo creato un qualcosa di davvero speciale: il dipartimento dell’esperienza; qui hanno potuto mettere a frutto le loro storie ed i loro insegnamenti, per trasmetterli a tutta la comunità. Una società senza memoria è destinata a commettere gli stessi errori. Ed esattamente nei loro insegnamenti che troviamo l’importanza della reciprocità e del volontariato.

Sarà forse un caso che con la senilità giunge una spiccata sensibilità verso l’altro?!

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