Nella quiete seraleMauro Barbetti

La sera dovrebbe portare silenzio e pace, invece a me porta solo frastuono in testa e inquietudine.

Questa è la mia casa. Lo è stata per tanto tempo. Per quanto non saprei dirlo, so stabilire però quando tutto questo è cambiato. 

Il giorno del dito puntato. Il giorno in cui sono rimasta indifesa, scoperta, fragile, completamente a nudo.

Avevo fatto dell’amore una trapunta, ricamandovi il mio impegno e la mia cura. Tutto pareva scorrere tranquillo alla luce delle premure messe in atto.

C’erano dei riti precisi, un’assiduità quotidiana e intransigente.

A tutto questo, corrispondevano conseguenti richieste: se io faccio questo per te, tu farai quest’altro per me, se io ti amo come ti amo, anche tu dovrai amarmi di pari grado, capire le mie esigenze, leggerle prima che io le esponga.

I riti cominciavano alle sei e mezzo della mattina, la preparazione della colazione, lo svegliarti con delicatezza, un bacio in fronte, una carezza, lo stare insieme a colazione, poi il prepararsi per andare a lavorare. Quindi il ritorno, il pranzo già preparato la mattina stessa o il giorno prima e via con tutte le trafile pomeridiane, di nuovo lavoro, spesa ecc. fino alla cena serale, allo sparecchio, ai piatti lavati in fretta per concederci qualche momento insieme prima di dormire.

La mia casa: era uno specchio d’amore e di cura.

 

***

Poi è arrivato il giorno, il giorno del dito puntato, della pistola fumante, del colpo sordo alle spalle. Quel giorno mi hai detto che tutto questo era solo una finzione, uno dei tanti subdoli modi di regolare un rapporto basandolo sul potere, il potere dell’essere sempre nel giusto, dell’essere perfetta, che non ne potevi più, che non sapevi che fartene delle mie premure, dei miei gesti, di questa casa da Barbie. Mi sono sentita nuda e indifesa mentre tutto mi crollava addosso. Era la mia casa, l’intera casa che implodeva, fino nelle sue fondamenta.

 

***

Questa casa è ormai diventata la mia trappola. Lo sarà ancora a lungo e non dipenderà, non dipenderà più da me per quanto. Questa casa che dividiamo ancora in due, è tale solo per interesse, per incapacità di una scelta radicale, per puro comodo. Non so se augurarmi di uscire in fretta da questa tagliola o se continuare così all’infinito, fingendo che le cose possano sfumarsi, le ferite lenirsi e poi guarire. Tutto è diventato assurdo, siamo ancora qui, io ti guardo, ma tu non mi vedi, io ti parlo, tu non mi ascolti.

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***

Ciò che ho fatto, è stato di uscire dal tempo, fermarlo, riportare indietro le lancette. 

A prima del giorno del dito puntato, a prima del giorno in cui mi sono ritrovata nuda, ferita, indifesa.

É stato solo un brutto sogno. Non è mai accaduto nulla.

Tu vieni ogni giorno da me, quasi ogni giorno. Ti siedi e io parlo, tu parli poco, ma mi ascolti.

É sempre un fatto di premura, di forza di volontà.

Conservare l’amore come l’ho vissuto nella mia mente, cristallizzarlo nella perfezione di un gesto, nell’imperturbabilità di un’idea. Crederci.

 

***

Ogni mattina preparo la colazione, sono buoni qui con me, se il mio camice si sporca me lo cambiano e tutto torna come prima. Poi do una mano in cucina per il pranzo, sono quella che ci mette più impegno a lavare, sbucciare, tagliare e via di seguito fino a sera, fino a che non vado a letto e mi stendo, con l’idea di te nel posto accanto al mio. A volte ti parlo e ti vedo, so che mi ascolti, che nella tua premura non vuoi interrompermi, sorridi bonariamente e ogni tanto annuisci col capo.

È bella la notte da questa collina che guarda di lontano la città, c’è un silenzio rassicurante, buono.

Prendo le pasticche, le bevo dal mio bicchiere e lentamente mi riempie un senso di senso di pace e un sonno finalmente dilatato, profondo, benefico.

Dormirò, sognando di te.

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