La ballata per tuttə le persone invisibiləMartina Maria Sergi

BLUE

Ricordo come fosse dormire nei vicoli di Venezia quando cadeva la neve.

Forse era il 1442, forse il 1960, forse il 2017.

Scegli tu.

Non è importante per questa storia.

Come non conta il guscio di ciò che circondava la mia pelle, come non contano i nostri nomi.

Conta che ero uno, e poi siamo diventati in due.

Prima che morissi, o dopo una vita di morte.

Sei arrivatə tu.

Non sapevi niente della mia maledizione, non sapevi che non ti potevo guardare, che ogni volta che incontravo gli occhi di una persona sentivo il suo sangue scorrere nelle mie vene, la sua gioia colorarmi di scarlatto le guance, il suo dolore battere come un tamburo nelle mie viscere.

Un giorno mi hai chiesto se potessi chiamarmi Blue.

Non so perché risposi di sì.

Haru.

Un giorno ti chiesi cosa significasse, perché avessi scelto proprio questo nome.

Mi rispondesti: “Indovina”.

A mia discolpa posso dire che ci provai, ma non indovinai mai.

In fondo non era importante.

Non te ne volesti andare quella notte, sei rimastə con me fino all’alba.

Dopo quel giorno, sei scomparsə per un’altra settimana, capì solo con la coda dell’occhio quando tornasti che ti eri presə l’influenza.

Non potevi sapere che ti potevo sentire, e tu continuavi a sorridere.

Ti chiesi quanto saremmo potuti continuare così, a parlare su un gradino ghiacciato di Venezia.

“Fino alla primavera” hai risposto.

Poi ce ne scappiamo via”.

Mi venne da ridere per l’incredulità, chi mai avrebbe voluto scappare con unə senzatetto scorbuticə che parlava a malapena e non poteva neanche guardarti negli occhi?

Ma non ti chiesi questo, piuttosto ti domandai perché in primavera, perché non adesso.

“Perché ancora non ti fidi di me, ci serve tempo” mi hai risposto sempre col sorriso.

HARU

Quanto potremo esistere tra il cielo gelido e le strada senza morire?

Sembrano secoli che penso solo a te, Blue.

Ogni tanto mi chiedo perché, come mai quel giorno mi sono fermatə al tuo fianco.

Troppi fiori nello stomaco, stavo per soffocare.

Eppure, ad un tratto tutto si era fermato.

Mi era bastato un tuo sguardo.

Uno dei pochissimi, perché sembravi aver paura di morire ogni volta che alzavi il volto.

Volevə sentirmi al sicuro.

Volevə solo essere salvə.

Ora il sangue macchia il pavimento e forse non ti rivedrò più.

Sfioro come una carezza la ferita allo stomaco, irregolare come un fulmine al rovescio.

Volevə solo essere protettə.

Penso a te, a come sembrava che tutto ti colpisse come un proiettile ogni volta che alzavi lo sguardo.

Penso alle tue parole, a come me ne stavo innamorando.

A come tuttə sembravano anestetizzatə, tuttə tranne te Blue.

La vedevo, la ferita di chi è arrivatə a quel confine, e corre lontano da tutti perché non si ricorda come ci è finitə su quel precipizio, come se ci avessero bendatə e lasciatə appesi a una mano, con un conto alla rovescia che anticipava la caduta.

Se hai visto quel burrone, se non sai come ci sei finitə, o se lo sai e hai paura di riavvicinarti per sbaglio, pensi sia meglio scappare.

Lo so Blue, e mi dispiace.

Avrei voluto conoscerti prima, tenderti la mano ed afferrarti prima che cadessi.

Non avresti dovuto conoscere quella linea.

Siamo troppo giovani.

Ne ho visti tanti come noi aver lasciato la montagna con le ginocchia ancora ricoperte di sabbia rossa.

Avrei voluto che questo mondo ci facesse spazio, e invece ci hanno dimenticato.

Moriremo sotto applausi che ci hanno bruciato il sangue, che ci hanno fatto vomitare lacrime calde che hanno ustionato i volti.

E voi avete fatto finta di non vedere i segni.

Forse un giorno, altri Blue e Haru si sveglieranno in questo mondo, e come tuttə avranno una coperta addosso a ripararlə dal gelo.

Noi siamo natə troppo presto.

LA PENNA

Addio Haru e addio Blue.

Vi guardo mentre l’inchiostro cola e vorrei salvarvi, invertire il sangue che macchia le mattonelle di una cucina senza mobili, o aprire gli occhi di Blue che dorme nel suo vicolo, e sogna Paesi che non ha mai visto, come sfondo gli occhi di Haru che vorrebbe tanto poter guardare.

Sa che se ne innamorerebbe all’istante, e la sua maledizione lo colpirebbe due volte più forte questa volta.

Forse chiamerebbe sua madre, le racconterebbe di Haru e che vorrebbe tornare a casa, ma in questa società non c’è posto per Blue.

Forse aprirebbe gli occhi, e per uno strano scherzo del destino correrebbe verso casa di Haru e lə salverebbe.

E insieme potrebbero scappare da questa società e vivere felici.

Ma questa non è una favola, e mentre Blue continua a dormire, Haru continua a morire.

Blue non saprà mai che fine ha fatto, e io non so che fine farà Blue.

Non è solo la sua maledizione, è la condanna che questo Paese ci ha inciso alla nascita sulla pelle.

Scroscianti applausi, rumori che prendono a pugni le sue vene.

È terrorizzatə, la gente lə fissa.

La legge è stata affossata.

Blue sa che non lə vedono veramente.

Chiassosi, sanguinosi applausi.

Allora chiude gli occhi, la neve gli cade sul viso.

Ma non doveva arrivare la primavera?

Forse in questo Paese non esiste, forse sarà sempre inverno.

Per alcune persone si, anche se non volete vederlo.

Rimboccatevi le coperte, uscite dall’armadio le maniche corte, non preoccupatevi, in fondo non lo avete mai fatto davvero.

Blue ci pensa, bloccato dentro l’inverno che ricomincia.

Meglio morire che sentirsi ripetere per tutta la vita che è un errore?

Non lo sa, non ancora.

Decidi tu.

Questa storia non ha anno, né finale.

Ma forse Blue, voi lo potete ancora salvare.

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